Continuiamo a parlare di felicità perché è l'unica cosa a cui tendiamo. Il resto è solo contorno. E' come trovare una tavola imbandita con stoviglie di grande pregio, ma senza cibo. In questo modo viene a mancare l'essere del pasto.
La parte coreografica è esterna e non è essenziale, ma l'uomo ha l'esperienza della gioia nel suo interno e questa è l'intimità profonda, è la relazione intersoggettiva del coglierci nella nostra essenzialità ed esprimerci in autenticità. Si è autentici quando l'interno può manifestarsi all'esterno.
Ecco perché la Parola di Dio unifica e richiede l'evangelizzazione come mediazione per collegare la singola persona con il divino, cosa che avviene nell'intimità del cuore di ciascuna.
Non esistono i cuori in generale, ma "il cuore", quello che ha ognuno di noi.
Al n. 139 dell' "Evangelii Gaudium" leggiamo che il popolo evangelizza se stesso per lo Spirito e questa evangelizzazione avviene nella continuità.
Il popolo non va confuso con la massa. C'è una differenza abissale tra popolo e massa. Il popolo deriva dalle singole realtà personali che convergono in una finalità comune. Questa consiste nel raggiungimento della realizzazione nella felicità. Il popolo, quindi, è composto da persone che si accordano per camminare insieme verso un fine comune.
Come si perde l'identità di popolo? Si perde se le singole realtà personali si chiudono ermeticamente senza instaurare relazioni di comunità che dipendono dall'apporto di ciascuno. Se, invece, ognuno apre il proprio guscio ed entra in relazione con l'altro, si può cominciare a dare inizio alla costruzione di un popolo.
Il n. 139, dunque, dice che il popolo di Dio evangelizza continuamente perché si può confrontare con una Parola unificante che funge da codice che non è noetico, conoscitivo, astratto, ma è una comunicazione comunionale.
La comunicazione, se è informazione, è solamente una notizia che passa da una mente ad un'altra mente, ma non prende la dinamica della personalità, quindi, si ferma all'aspetto mentale senza coinvolgere l'aspetto emozionale e quello dinamico fattuale che consente alle persone di mettersi insieme per costruire una relazione continuativa.
La massa, invece, è pilotata dal di fuori da chi asserve le persone (il dittatore) per i suoi interessi e non per i loro.
La Parola di Dio non è un genitivo oggettivo, ma soggettivo. Quello oggettivo indica l'appartenenza. Per esempio, se dico: "la giacca di Anna", intendo: "la giacca che appartiene ad Anna". Quindi, c'è un oggetto (la giacca) ed una relazione di appartenenza.
Se, invece, dico: "quella scema di Anna", intendo: "quella scema che è Anna", cioè il soggetto stesso.
La Parola di Dio, quindi, non vuol dire che appartiene a Dio, ma che è Dio stesso.
Allora, quando la si comunica, si comunica Dio stesso che rende come Lui la persona destinataria.
Questa dimensione trasformante della Parola di Dio destinata a ciascuna persona è un fatto straordinario. Non c'è bisogno allora di chissà quali miracoli perché questa comunicazione stessa della Parola è un miracolo.
Se questa sera ci mettiamo in ascolto della Parola divina, questa entra nel nostro cuore se lo apriamo. La porta del nostro cuore non può essere aperta dall'esterno, ma solo dal di dentro perché la Parola di Dio è caratterizzata dal rispetto profondo del destinatario il quale non può essere violato.
Nel momento in cui la Parola di Dio, intervenendo nella persona umana, ne violasse la dignità, questo sarebbe la distruzione di tutto il creato.
Più semplicemente: che interesse ha Dio di parlare a noi? Nessuno! Lui ha la predisposizione a donare la Sua Parola che è Se stesso. Nel momento in cui questa Parola ci giunge, noi entriamo a far parte della Sua vita se l'accogliamo. Dio dà e non prende. Dona l'amore che passa per la libertà. L'amore esclude la violenza. Un dono imposto con la violenza non sarebbe più un dono e il destinatario non ne capirebbe più l'essenza.
Esempio: se volessi regalare un... cannolo siciliano giunto fresco da Palermo ad una persona che è allergica alla ricotta e le imponessi di mangiarlo, non sarebbe più un dono, ma una condanna a star male.
Allora, Dio nel momento in cui si offre a ciascuno di noi con la caratteristica dell'amore, non può minimamente violentarci, ma rispetta necessariamente la nostra libertà.
Se l'accogliamo, il dono è... dono! Se non l'accogliamo, il dono resta privo dell'effetto.
S. Paolo dice: "Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo" (Col. 1,24).
Come può mancare qualcosa alla passione di Cristo se l'azione è d'infinito amore? Manca se da parte di ciascuno non c'è l'accettazione del dono stupendo che Dio vuole farci. Il dono resta monco perché il destinatario lo respinge.
Che cosa ci fa respingere questo dono? Il peccato o la mancanza di volontà ad accettarlo?
Il peccato non ci interessa quanto il fatto straordinario del dono. Se ci soffermiamo su questa mentalità da Medio Evo a considerare sempre il peccato, il diavolo, l'inferno, il fuoco, ecc., perdiamo di vista l'aspetto ottimistico di un Dio che è l'Essere e che vuole darci non la non punizione, ma il gran dono di Sé. Dobbiamo fare uno sforzo per cambiare la nostra mentalità perché la Parola di Dio non è una Parola di condanna, non è un indice puntato, ma è la realizzazione dell'uomo. E' la risposta alla domanda che ogni uomo ha dentro di sé sul senso della vita che non trova in tutto il mondo, ma solo quando si incontra con una Persona che è l'unica che parla di vita eterna e che è una Parola che diventa carne.
Questo discorso investe la totalità del creato dove l'uomo funge da ponte tra la realtà inanimata e la Realtà divina. L'uomo, infatti, sta a metà tra l'animalità e la divinità. Questa dimensione è intrinseca all'uomo perché ha tutto dell'individualità e, quindi, dell'animalità, ha anche l'aspetto della psichicità (presente pure negli animali superiori), ma in più l'uomo ha una spiritualità ed è in forza di questa che va verso la divinizzazione.
Chi viene per la prima volta qui, deve fare qualche sforzo in più per mettersi rapidamente al passo di contenuti molto complessi.
Quando ho detto che ne va di mezzo la finalità stessa del creato, intendevo che tutto il creato è un donare sé. Per fare questo, il creato ha impiegato milioni di anni fino a giungere a questa realtà pontificale dell'uomo che resta nella natura, ma ha l'anelito alla sopranatura perché è quello che si interpella sul senso della propria esistenza.
Una pianta esiste, si riproduce, ma non ha una finalità di tipo intrinseco. La finalità intrinseca è quella che si pone il soggetto stesso. Io ho la finalità intrinseca di salire su una sedia e salgo. Quella estrinseca è che sono stato munito di due gambe per potervi salire (così come di occhi per vedere, orecchi per sentire, ecc.), ma sono io che prendo la penna e scrivo, prendo il libro e leggo... Solo la persona umana è munita di finalità intrinseca.
L'uomo è in una condizione di poter stabilire relazioni intersoggettive. Io ripeto continuamente questi concetti perché a furia di sentirli, una persona può improvvisamente rendersi conto della sua grandezza e pensare, per esempio che abbiamo 7 km. di villi intestinali, una media di 120.000 capelli, 248 ossa tutte articolate, un cuore che solleva mezzo chilo ad un metro di altezza ad ogni battito, ecc.
Le funzioni degli organi fanno parte della finalità estrinseca. La propria intenzionalità è una finalità intrinseca. In essa c'è anche la riflessione che in questo processo di vitalizzazione, è l'insorgere della coscienza e, quindi, del progresso. Mentre l'animale si adatta al cambiamento dell'ambiente, l'uomo è quello che cambia l'ambiente perché con la riflessione è capace di astrazione. Compito dell'uomo è quello di armonizzare la finalità intrinseca con quella estrinseca.
Tutta la creazione però è fallimentare se l'uomo non trova la risposta alla domanda sul senso della vita.
Questo è un momento particolare della nostra esistenza. Io filtro nel mio essere le cose che vi dico perché se non me ne rendo conto, non posso trasmettervele, altrimenti diventa una lezione. Ma qua si tratta di cogliere se la Parola di Dio costruisce una realtà nella quale ciascuno di noi si può realizzare nell'osmosi della intersoggettività comunicativa che diventa comunione, che diventa partecipazione alla stessa esistenza dell'Assoluto.
O si entra a far parte di questo o si resta fuori perché non si è aperta la porta alla Parola che vuole rendermi Parola e, quindi, espressione per gli altri e, quindi, carisma.
Cosa farne dei propri talenti? Prima di tutto bisogna riconoscerli e poi metterli a confronto con quelli degli altri per porre la condizione da farli fruttare tutti allo scopo di attivare uno scambio arricchente per cui nella Parola di Dio l'uomo trova il suo volto. Altrimenti l'uomo si lascia abbacinare dal processo di manipolazione attraverso le sue tre fasi di condizionamento, alienazione e strumentalizzazione.
Quando ciò accade, si può verificare che l'uomo sia contento di essere un... imbecille (nel senso etimologico del termine "in baculo") che vuol dire "appoggiarsi al bastone" perché incapace di reggersi sulle proprie gambe, cioè privo di criticità personale, privo della conoscenza della propria verità e, quindi, incapace di essere libero e di amare.
Al n. 139 leggiamo: "Abbiamo detto che il Popolo di Dio, per la costante azione dello Spirito in esso, evangelizza continuamente se stesso. Cosa implica questa convinzione per il predicatore? Ci ricorda che la Chiesa è madre".
Qui ritorna il concetto di Dio come Madre (espressione messa in essere da Papa Giovanni Paolo I).
Si tratta di cogliere come la femminilità, per sua costituzione biologica e psicologica, è ricettiva. Dio è una realtà molto più vicina alla configurazione femminile che non a quella maschile perché Dio è ricettivo dell'essere che insorge ed esiste.
L'esistenza è il venire alla luce; l'essenza è ciò per cui una cosa è quel che è. Noi esistiamo, ma prima di esistere, siamo presenti come concetto, come essenza che poi si traduce in esistenza.
L'uomo è quello che deve trovare la sintesi tra l'essenza dell'essere e l'esistenza dell'essere e questa è l'armonizzazione tra la finalità intrinseca e quella estrinseca; è la possibilità di autenticizzare l'aspetto interiore noumenico con quello estrinseco, espressivo del linguaggio.
Quando poi una persona riesce ad armonizzare la sua singola realtà in relazione con quella comunitaria e sociale, entra a far parte del Popolo di Dio che si evangelizza continuamente.
Al n. 140 viene messo in evidenza l'aspetto dinamico, cioè come la Parola di Dio deve essere veicolata con un atteggiamento materno.
La mamma, infatti, quando parla con il figlio, non lo fa in modo vessatorio perché tra loro c'è come una continuazione della visceralità, del cordone ombelicale che li ha uniti. Anche se il figlio dovesse rinnegarla, lei non rinnega il figlio perché l'ha tenuto nell'utero e questa dimensione continua a vivere in lei.
Papa Francesco dice che quando il cuore si è riempito in abbondanza della Parola di Dio, questa deve essere trasferita all'altro, ma il cuore ne deve essere colmo altrimenti non è possibile trasmetterla.
Come una mamma che quando parla al figlio non ha mai l'intenzionalità finalizzata ad un danno per lui, così ciascun componente del Popolo di Dio, nel rivolgersi all'altro, gli deve dare la sensazione che la Parola che riceve non gli è data per interesse di chi parla, ma per lui che ascolta: "Io ti dico questo perché è quello che tu, nel profondo, ti aspetti di sentirti dire perché vuoi essere felice. Questa Parola è l'unica che ti può dare la felicità. Tutte le altre parole possono solo essere predisposizione e preparazione a questo. E' chiaro che se uno ti offre la possibilità di guarire dalla... polmonite, è una parola efficace, ma anche se ti libera da una malattia, non ti immunizza da tutte le altre perché alla fine, comunque, si muore in un modo o in un altro".
Quindi, tutte le parole sono di supporto, ma non danno la risposta alla domanda essenziale che l'uomo si fa. Quante persone non sanno perché esistono? Una percentuale altissima perché questa domanda mette l'angoscia in quanto, per deformazione culturale, la Realtà divina viene considerata punitiva. Questo accade perché colleghiamo il senso della vita ad un fatto religioso che per tenere sottoposte le persone, le deve caricare di sensi di colpa apparendo come un indice puntato ad accusare. Ecco perché dobbiamo liberarci dal concetto del peccato.
Al n. 141 il Papa dice che nel comunicare questo dono, chi lo fa deve avere la possibilità di trasferire in simultanea il piacere che sta facendo all'altro... un piacere perché la Parola di Dio è la cosa più importante da ricevere, è una realtà in forza della quale si trova la risposta al proprio esistere, risposta che è talmente preziosa perché dà la gioia di capire la propria grandezza perché sta al di sopra di tutto, anche della morte. Se qualcuno ha ancora paura della morte, vuol dire che la Parola non gli è arrivata. La Parola è il contenuto essenziale dell'universo.
Il cristianesimo non si è diffuso nel mondo perché è stato rivestito di una patina di sofferenza e negatività per cui l'annuncio gioioso del Vangelo è diventato un annuncio di morte, ma la Parola di Dio si annuncia alla carne perché questa possa impregnarsi di essa che è speranza, prospettiva, apertura alla vita eterna.
Al n. 142 viene ribadito che la Parola di Dio è il dono di Dio stesso come una mamma che non dona la vita al figlio solo nell'atto del parto, ma permanentemente e questo coincide con la realizzazione della mamma. Allo stesso modo, ogni persona si realizza nel momento in cui diventa un suono che si trasmette agli altri.
Quando si riesce ad avere un momento di comunicazione intima, profonda, contemporaneamente si ha la sensazione del blocco del tempo e se si riesce ad intendersi bene, non ci si accorge più del tempo che passa perché nella comunicazione profonda c'è un'esperienza mistica in quanto nella vicinanza dell'altro si può avere l'esperienza della vicinanza del Tutt'Altro. Allora si percepisce nell'esperienza del quotidiano, nella singola esperienza comunicativa, la possibilità di una comunicazione permanente al di fuori del tempo.
"Davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo"... (2P 3,8).
Cioè è annullata la dimensione del tempo perché la comunicazione intersoggettiva mette nella condizione di non avvertire più la metabolizzazione dell'individualità. Questo si verifica, per esempio, nell'innamoramento. Quando una persona è innamorata, perde il riferimento con il tempo, se lo dimentica ed entra nell'appercezione di una conversione di modalità di vita.
Ecco perché S. Paolo (piuttosto misogino), comunque quando parla del matrimonio non come contratto, ma come intesa comunicativa comunionale, dice: "Questo sacramento è grande. Lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa". (Ef. 5,32).
L'esperienza di fusione tra due persone le estrapola dalla situazione di precarietà e le mette in una dimensione di realizzazione. Qui combaciano finalità intrinseche ed estrinseche, l'autenticità dell'espressione con il contenuto del pensiero dinamico. E' l'esperienza libera per cui l'altro non diventa inibente, ma occasione per l'espressione.
S. Paolo ha anche detto: "Le donne tacciano nelle assemblee" (1 Cor. 14,34), ma il centro del linguaggio nella donna è ipotrofico, cioè meno sviluppato e meglio funzionante. Infatti, le bambine cominciano a parlare prima dei maschietti e anche a camminare prima (linguaggio prassico).
Le donne digitano anche meglio degli uomini (le dattilografe, per esempio).
Oggi i maschi sono in crisi perché la struttura digitale informatica non richiede più l'impiego della massa muscolare, ma la rapidità dei linguaggi e le donne in questo sono più brave perché hanno anche la pluridirezionalità applicativa sincrona, cioè fanno più cose contemporaneamente mentre i maschi sono unidirezionali diacronici.
La Parola di Dio va colta nel suo contesto. Non si può prendere una parola della Sacra Scrittura estrapolandola dal contesto e farle significare quello che si vuole, ma va colta nella totalità del messaggio.
Il messaggio fondamentale è la permanenza dell'amore di Dio nei nostri confronti. C'è voluto molto tempo per far capire all'umanità che Gerusalemme non è il punto di scontro dell'umanità, ma è segno e simbolo della Gerusalemme celeste che sta dentro di noi, è la risposta all'interrogativo dell'uomo sul senso della vita.
Al n. 144 si dice che bisogna parlare al cuore come fa una mamma e non come uno che impone e condanna. Come ho già detto, per secoli la patina di religiosità ci ha fatto vivere col senso di colpa. Invece, Dio vuole che l'uomo abbia l'opportunità di contemplarlo ed identificarsi con Lui partecipando alla Sua stessa realtà. Noi abbiamo presentato Dio così lontano da noi associandolo all'aspetto religioso invece di cogliere che era una gioia per gli amici di Gesù incontrarsi con Lui. Noi quando entriamo in chiesa ci ammorbiamo!
Dobbiamo sforzarci per avvicinarci alla Parola che è una Persona, che è Gesù Cristo, che è il Vangelo. Deve essere per noi un piacere parlare con Gesù. La religione, invece, immobilizza come fa la scuola (la cattedra ha origine dalla cattedrale).
Nell'ora di religione a scuola si fa di tutto, ma non si presenta il messaggio evangelico che dovrebbe dare senso alla scuola stessa.
E' importante allora capire come questi modelli culturali, attraverso i secoli, hanno creato un meccanismo di colpevolizzazione che rende l'apertura al Vangelo sempre molto problematica e angosciante. Non sia mai raccontassi una barzelletta in chiesa! Sarebbe considerato dissacrante!
Auguste Cury, psichiatra e psicoterapeuta brasiliano, nel libretto "Gesù di Nazareth", analizza la personalità e l'intelligenza di Gesù presentandolo come un liberatore che toglie una quantità di sensi di colpa che opprimono le persone. Anche Francoise Dolto, psicoanalista francese, ne "La fede alla luce della psicanalisi" presenta un Gesù aperto. C'è inoltre il libro di Matthew Fox, ex frate domenicano,
"In principio era la gioia" il cui contenuto andrebbe approfondito per togliere un po' di...muffa!
Per questo motivo, noi abbiamo eliminato il termine "catechesi" sostituendolo con "Incontri di formazione per il raggiungimento della felicità". Però a molte persone questo suona strano perché è difficile che si parli di felicità in chiesa!
Il Vangelo bisognerebbe comprenderlo, avere la pregnanza del messaggio colto, approfondito, assimilato, personalizzato e poi finalmente trasmetterlo in ogni dove (anche insieme alle barzellette).
Ma che differenza c'è tra dono e perdono?
"Perdono" è lasciarsi attraversare dal dono. E' un superdono. Cioè, tu, raggiunto dal dono, sei capace di restituirlo arricchendolo del tuo. E' un'esperienza di grande gioia.
Il Manzoni ne "I promessi sposi" presenta una bella apertura al perdono nel colloquio tra il cardinale Borromeo e l'Innominato.
"Perdono" vuol dire che io, nel momento in cui ho la consapevolezza di non essere un autoctono, ma un donato, allora mi realizzo, quando divento a mia volta dono.
Ma se il dono mi giunge ed io lo comprimo, lo annullo, lo schiaccio, vuol dire che non mi servo di questo dono... donato.
Perdono quando io colgo che l'altro mi fa un'offesa perché non ha tenuto presente di aver ricevuto il dono di donarsi a me come io a lui. Se colgo quest'aspetto, nel momento in cui ricevo l'offesa, mi devo porre il problema che una parte dell'umanità che sta in lui, non si è realizzata per la mia realizzazione e, quindi, io mi metto nella condizione di facilitargli la fuoruscita del suo esser dono.
Per esempio, un marito che non si dona nella sua completa espressione gioiosa alla moglie, la priva della sua munificenza e il dono, anziché offrirlo, lo comprime in sé e, quindi, lo mortifica, lo uccide. E' la stessa cosa dell'universo che fallisce di cui abbiamo parlato prima.
Dunque, quando l'altro mi offende io mi devo interrogare sul perché lo fa. Offendendomi, l'altro si priva della ricchezza che sta in me. Se ho capito bene questo, io gli regalo l'opportunità di aprirsi e, nonostante lui non venga da me, io vado da lui.
Perciò poi nel Vangelo leggiamo: "Se presenti la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia il tuo dono davanti all'altare e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono" (Mt. 5,23-24).
Anche se non sei stato tu ad offenderlo, ma lui ha offeso te, va' tu da lui e dagli l'opportunità di donarsi.
E se l'altro non vuole? Bisogna lasciarlo in pace...
"Se qualcuno poi non vi accoglierà e non darà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dai vostri piedi" (Mt. 10,14).
Una volta che io ho compreso fino in fondo che il Vangelo mi porta all'eliminazione dei vincoli perché mi apre alla libertà totale (se la si vive dentro), tutte le costrizioni e le contratture sociali sono da considerarsi come leggi messe in essere per il mancato raggiungimento di maturità da parte delle persone perché la persona matura non ha bisogno di leggi.
Ecco perché il Vangelo porta all'anarchia (non come un fatto negativo come è considerata socialmente). L'anarchia è l'unica via possibile per il Vangelo. Perciò non è fatto per le masse, ma per le persone che si svegliano dal torpore e si accorgono di avere una vocazione per la felicità propria e degli altri.
All'inizio le comunità che formavano il Popolo di Dio erano composte da poche decine di persone, poi le cose cambiarono dopo l'editto di Milano del 313 e soprattutto con Carlo Magno nell'800 con il Sacro Romano Impero in cui essere cristiani era obbligatorio pena la decapitazione.
Un tale sistema non ha niente a che vedere con il dono libertario d'amore.
Con questa mentalità si impartiva il Battesimo nelle prime 24 ore dalla nascita e se il parto presentava delle difficoltà, il bambino veniva battezzato all'interno dell'utero...
Il peccato originale è quello che sta all'origine della condizione umana. Adamo ed Eva sono figure mitiche, e dell'inizio dell'umanità noi non sappiamo nulla.
Il teologo scozzese Duns Scoto dice che Gesù sarebbe venuto sulla terra indipendentemente dal peccato originale perché la condizione umana è intrinsecamente caratterizzata dal limite e questo non consente il possesso della felicità che deve essere piena, illimitata, eterna.
Per essere felici, ci vuole necessariamente il contatto con il divino.
Il racconto del peccato originale spesso diventa un motivo di scontro. Fa parte di un modello culturale che Papa Francesco cerca di cambiare perché l'umanità non può andare avanti con le categorie concettuali di molti secoli fa.
Lo dice esplicitamente nell'art. 148: "Uno dei difetti di una predicazione tediosa e inefficace è proprio quello di non essere in grado di trasmettere la forza propria del testo proclamato".
Il testo proclamato deve essere trasmesso a persone che hanno una loro cultura omogenea.
Quando andiamo a raccontare il peccato originale con il serpente che parla, ecc. che cosa può capire una persona? Anche un bambino ti riderebbe in faccia perché sa che i serpenti non hanno mai parlato!
Allora questo è un modello che non può essere più trasmesso. Il Papa ha detto di voler cambiare anche il "Padre nostro". Perché? Perché usa un linguaggio che non ha più senso.
Del resto, noi siamo talmente deformati da mettere a concorso l'assegnazione delle parrocchie, fino a qualche tempo fa.
E' una cosa che non ha senso perché chi vuole annunciare il Vangelo lo fa dovunque, senza concorsi, così come avviene nello Stato dove i Ministri sono lì per servire il popolo (anche se poi avviene il contrario).
Del resto, il Papa che viene definito "Servo dei servi di Dio", fino a qualche decennio fa era portato in trono sulle spalle e circondato da flabelli.
Di questa mentalità dobbiamo progressivamente liberarci perché ha un effetto deleterio sulle coscienze per cui le persone poi prendono altre direzioni eccetto quella del Vangelo perché lo confondono con il senso di colpa e la relativa angoscia.
Anche Natale angoscia perché ha un impatto violento di religiosità. Non si fa alcun discorso di fede sul suo significato che è l'incarnazione di un Dio che prende contatto con la storia per liberarla dalla sua condizione precaria.