Buone feste fatte! E' un augurio per cominciare a pensare alle feste successive perché tutta la nostra vita è un festeggiamento permanente, ma ci sono molte persone che avendo letto male il Vangelo (che significa "bella notizia"), invece si intristiscono e sotto Natale vanno in angoscia.
Dobbiamo allora cercare di eliminare il Natale dal calendario se questo diventa un'angoscia!
Faremo ancora tre incontri sull' "Evangelii Gaudium". Cominciate a pensare cosa volete approfondire dopo e mandate le notizie a Rosetta che farà una cernita di quello che proponete e ne discuteremo.
Intanto, vi informo che c'è un libro "Giordano Bruno torna a casa", scritto dal nostro amico Giuseppe D'Alessandro, che sarà presentato al Giardino del Poeta il 24 p.v. e poi all'Università.
In esso ci sono riflessioni filosofiche e teologiche su argomenti di cui noi normalmente parliamo e che ci interessano particolarmente perché Giordano Bruno è della nostra terra. E' stato a Napoli, a Nola, così come Tommaso d'Aquino.
Chi lo condannò al rogo (Roberto Bellarmino) fu canonizzato dopo che in piazza Campo de' Fiori a Roma, luogo dell'esecuzione al rogo di Giordano Bruno, fu eretto a questi un monumento. Ciò metteva in evidenza che era stato un santo a condannarlo che non poteva essere che dalla parte della ragione. La stessa cosa, "santo subito" è stata fatta per Giovanni Paolo II, che canonizzò Josemaria Escrivà de Balaguer, fondatore dell'Opus Dei, discussa istituzione ultraconservatrice, e che abbracciò pubblicamente il dittatore Pinochet, responsabile della morte di diverse migliaia di "desaparecidos", dissidenti politici gettati dagli aerei nell'oceano. Forse col passare del tempo, non sarebbe stato fatto santo.
Le nostre terre sono sempre state martoriate. Noi sappiamo molte cose dell'inquisizione spagnola, ma molto poco sull'inquisizione napoletana. Di questa nessuno ne parla, forse perché... è ancora vigente!
Dunque, dall' "Evangelii Gaudium" abbiamo appurato che il Kerigma sfocia nella mistagogia e questa è la crescita della comunità. La persona non può realizzarsi nella sua dimensione individuale, ma si realizza in quella sociale. Ciò significa che bisogna avere una buona dose di disponibilità per accorgersi di come la società stia massificandosi. Ma la società, in quanto tale, scaturisce dal concetto di comunità. Invece, la massificazione deriva dalla depersonalizzazione. Più le persone vengono defraudate della loro identità personale, più sono disponibili a massificarsi.
Passiamo al cap. IV dove al n. 176, leggiamo: "Evangelizzare è rendere presente nel mondo il Regno di Dio". Quell' "è" è un essere non predicativo, ma esistenziale. Se dico: "Lui è alto", "è" è predicativo perché non fa altro che evidenziare una realtà inerente al soggetto. Se dico: "Lui è Giovanni, lui è Andrea, ecc", "è" sta per l'accezione esistenziale.
Qui si parla di un'evangelizzazione che è rendere presente il Regno di Dio. Che vuol dire? Nel Vangelo troviamo un'espressione di Gesù: "Il Regno di Dio è dentro di voi" (Lc. 17,21). Quindi, rendere presente il Regno di Dio significa essere presenti nella storia, cioè che ciascuno, prendendo consapevolezza della propria esistenza con tutte le caratteristiche inerenti, si mette nel mondo, nella storia. Allora la realizzazione non è una dimensione che viene spalmata sulla persona, ma è la persona che prendendo consapevolezza della propria dignità, delle proprie caratteristiche, dei propri tesori contenuti nel profondo del proprio essere, li evidenzia.
"Evangelizzare è rendere presente nel mondo il Regno di Dio"...
La persona, nella consapevolezza del sé, non può non rendersi conto di essere al punto evolutivo epigonale della tendenza cellulare alla democratizzazione e, quindi, alla relazione sociale. Essere presente nella storia significa, quindi, che la persona non può ignorare di essere una realtà aperta alla socializzazione così come le cellule del nostro organismo, intanto possono sopravvivere, in quanto si sono "democratizzate", cioè sono entrate in funzione di reciprocizzazione perché anche la cellula dell'unghia non può esistere se non c'è il cuore che funziona o il sistema nervoso che funziona o lo stomaco che la nutre, ecc.. Quindi, ogni realtà personale, per potersi presentare alla storia con le caratteristiche sue proprie, deve inevitabilmente entrare nella consapevolezza che la sua realizzazione passa per la socializzazione.
Il titolo del IV capitolo è: "La dimensione sociale dell'evangelizzazione". La dimensione sociale, dunque, non è un optional, ma è essenziale. Questo comporta una riflessione perché la socializzazione oltre ad essere un'apertura estensiva, è anche un'apertura intensiva. Quella estensiva significa che posso entrare in relazione con la realtà di circa 7 miliardi di persone. Quella intensiva significa che dentro di noi ci sono tante zone più o meno d'ombra che noi non sviluppiamo, ma mettiamo in essere secondo la caratteristica della dinamicità dell'essere che si sviluppa progressivamente.
Questo significa che ognuno di noi ha il compito ben preciso di indagare nel proprio essere per promuovere un'umanizzazione della propria realtà.
L'umanizzazione è l'acquisizione delle caratteristiche umane che sono proprie della persona per poter esprimere la propria dignità.
Se la persona non fa un lavoro di appropriazione delle caratteristiche sue proprie, non avrà assolutamente la consapevolezza di esercitare il diritto ad essere quella che è e, quindi, assume una posizione servile, di dipendenza.
Allora il processo di umanizzazione investe ogni persona che ha colto fino in fondo il contenuto essenziale dell'evangelizzazione.
Il discorso è quello dell'umanizzazione. Invece, noi abbiamo fatto quello della prevaricazione del cristianesimo negando l'aspetto antropologico.
Bisogna riprendere in mano la dignità della persona in quanto tale e poi vedere se è cristiana perché tra le persone ci può essere un minimo comune denominatore per una socializzazione allargata. Se invece, andiamo nello specifico e nella caratterizzazione di ogni singola religione o modo di vedere, ci dividiamo.
Ma come porsi di fronte a ciò che in noi non ci piace, alle nostre zone d'ombra,? Accettarle o correggerle?
C'è un processo proibitivo che viene dal di fuori e ci impedisce lo sviluppo e c'è un processo inibitorio che parte dal di dentro per cui, per paura, la persona non si esprime.
Se si ha un ambiente inizialmente favorevole, la persona non ha timore di esprimersi. Purtroppo, il processo educativo non viene inteso come l'ex ducere, come l'apertura personale al mondo esterno perché il soggetto dell'educazione è il soggetto stesso, ma è ancora diffusa la mentalità secondo la quale l'educazione viene data e, quindi, la persona deve mettersi in atteggiamento passivo. Invece, l'educazione richiede un atteggiamento attivo. Il bambino comincia a succhiare il latte per uno stimolo della libido interna. Nessuno glielo insegna dal di fuori.
Quindi, è il soggetto che si educa per una vita intera. Noi siamo qui per "educarci", per vedere queste zone d'ombra che scaturiscono dalle inibizioni e dalle proibizioni perché ci confrontiamo con il modello sociale approvato e ci rendiamo conto di essere diversi da esso per cui ci impediamo di manifestarci. Se avessimo il coraggio di esprimerci per quello che ci frulla nel cervello, avremmo una umanità più ricca. Invece, l'umanità si impoverisce perché tutti dobbiamo fare uno sforzo enorme per essere conformi ad un modello che non è il nostro.
Così facendo, produciamo un suicidio perché ciascuno nega il proprio essere per far insorgere l'essere che non è. Si finisce, così, per togliere quello che si è, e col mettere quello che non si è.
Dopo che si è operato questo capovolgimento valoriale, l'uomo diventa frustrato e perciò aggressivo e finisce col rinnegare se stesso e gli altri. Se stesso perché non si esprime; gli altri perché non li fa esprimere.
Ma le inibizioni possono essere di origine genetica? Non possono essere di "origine" perché l'origine, in quanto tale, è originante, è generante, è provocante. Quindi, il bagaglio genetico è generativo. La vita è evolutiva; non può esserci una vita che si impedisce di essere tale.
La parola "genetica" si riferisce al generare, al gene e il gene è un elemento che usa due leggi: l'adattabilità e la progressione. Avviene così anche per i germi che a contatto con gli antibiotici, si camuffano per diventare resistenti a questi. Si dice che l'umanità in futuro non potrà più curarsi con gli antibiotici perché i germi si sono adattati ad essi. La stessa cosa avviene con gli insetti che si sono assuefatti agli insetticidi.
Allora, queste barriere che noi poniamo, vanno contro il progetto divino che ha fatto l'uomo perché abbia l'opportunità di fruire della ricchezza della vita. Quando questo viene impedito, la vita viene ad essere mortificata.
Al n. 178 dell' "Evangelii Gaudium" c'è scritto: "Ogni persona è stata elevata al cuore stesso di Dio". Da questo ha origine la dignità di ogni persona e per questo motivo, Gesù Cristo è stato pronto a dare la Sua vita per ogni persona e non per la massa. La Sua donazione d'amore è senza misura, è totale. Lui non ama sulla base del merito dell'oggetto, ma sulle caratteristiche della Sua soggettività.
Qui si coglie immediatamente come la socializzazione dell'evangelizzazione è legata al "Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza". E' un plurale che mette già in evidenza l'aspetto della socializzazione trinitaria. Non c'è solo il Padre perché "padre" è un termine di relazione e così il "figlio". Lo Spirito Santo, poi, è la personalizzazione della relazione.
Un Dio senza relazione non esiste e non potrebbe esistere e non sarebbe creatore perché solo Uno che ama può essere creatore. Uno che non ama non può creare perché è l'amore che genera, che è diffusivo di sé. L'odio, invece, tende ad annientare.
L'aspetto della Trinità è dunque insito nell'evangelizzazione. Per questo motivo, Gesù dice: "Le cose che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me" (Gv. 12, 50 e "Vi ho chiamati amici perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi" (Gv. 15,15).
Stabilisce, così, una relazione e, quindi, una socializzazione sulla base della socializzazione divina all'origine. Questo ci porta ad avere un momento di contemplazione estatica, mistica, perché ciascuno di noi è stato inserito nella relazione che fa riecheggiare quell'espressione del prologo di Giovanni: "Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste" (Gv. 1,3). Ciò significa che l'atto creativo è un atto di relazione, anche quello della creazione della materia che è la base e che è "mater" (madre) che richiama alla prima relazione.
Però, se questi contenuti restano nell'astrattezza e non sono riferibili al soggetto, questi resta nella sua individualità e, pertanto, nella sua non realizzazione. Quanto più la persona resta chiusa nel proprio individualismo, meno si realizza in quanto persona. La persona è relazione pontificale tra il sé profondo e il sé dell'altro nella mediazione della materialità, dell'individualità, cioè della corporeità.
Questo avviene sia che si creda o no in Dio? Dal punto di vista ontico, sì; nella consapevolezza, no. Per questo motivo, la Chiesa ha il compito di essere consapevolizzazione dell'umanità. Perciò è sacramento, è segno rivelativo.
Una persona che non ha mai sentito parlare di Gesù Cristo, in quanto umana, dal punto di vista ontico, dell'essere, è una realtà che fa da ponte tra la materialità e la spiritualità indipendentemente dal suo credo perché ogni persona se è in grado di pensare, si trova di fronte ad una realtà individuale che è materiale e una realtà psichica che è spirituale. Quindi, ogni persona si trova ad essere ponte tra la materia e lo spirito prima ancora di prendere contatto con le varie religioni.
Se resta atea, non ha la consapevolezza di essere questo ponte.
Perché si continua a dire che Gesù ha dato la vita per noi (come un qualsiasi fanatico) e non piuttosto che è stato ucciso da noi? Bisogna guardare la cosa da una parte e dall'altra. Quando Lui dice: "Ecco, andiamo a Gerusalemme e tutto ciò che fu scritto dai profeti riguardo al Figlio dell'uomo, si compirà. Sarà consegnato ai pagani, oltraggiato, coperto di sputi e, dopo averlo flagellato, lo uccideranno e il terzo giorno risorgerà" (Lc. 18,31-32), lo fa liberamente ed in piena consapevolezza.
Chi è amante della vita non può non essere amante della libertà e questo comporta anche il rischio di essere ucciso. Può capitare anche ad ognuno di noi quando, assumendo una posizione di difesa della giustizia, sa che questo gli può apportare un danno ed un sacrificio.
Gesù sapeva benissimo che sarebbe andato incontro alla morte, ma non ha chiesto di essere ucciso né si è suicidato. Quindi, è "vittima" non in senso oggettivo, ma è vittima perché l'umanità non lo ha voluto capire. Quando Caifa dice: " Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia, che ve ne pare?" (Mc. 14, 63-64) e precedentemente: "E' meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera" (Gv. 11, 50), che significa? Che il sistema di dominio Lo mette in croce per difendere sé.
Ogni persona, nel momento in cui vuole conservare la sua dignità personale, deve sapere che può incorrere nel grosso rischio di essere eliminata, ma se viene eliminata, è allora che vive!
Più semplicemente: se io voglio vivere la mia vita, devo avere il coraggio di esprimermi nella mia novità. Se faccio questo, devo anche sapere che non mi è consentito e mi possono eliminare. Non sono io che voglio morire: io voglio vivere e ci tengo alla mia vita. Se però mi devo piegare e per vivere mi devo rinnegare, io preferisco vivermi... la morte!
Noi cogliamo più l'aspetto vittimistico secondo il modello religioso, ma non è così. Gesù muore perché è. Chiunque è, si pone contro una realtà che lo vuole eliminare. Qualsiasi sistema, di per sé, tende ad eliminarti. Se tu vuoi essere, devi avere necessariamente una buona dose di coraggio.
Allora, o ti armi di coraggio e rimani te stesso o ti pieghi al sistema e diventi un cadavere ambulante.
Gesù non ha mai accettato di essere un cadavere ambulante, ma ha scelto di essere vivo fino in fondo. Ha detto: "Io sono la via, la verità e la vita" (Gv. 14,6). Non ha detto "Io ho la vita", ma "Io sono la vita". Questo gli ha dato il coraggio di dire a Pilato: "Tu non hai su di me alcun potere" (Gv. 19,11), a Caifa: "Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro" (Gv. 18, 21) e ai farisei che lo interpellano circa la lapidazione dell'adultera: "Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra contro di lei" (Gv. 8,7).
Tutte queste manifestazioni di coraggio lo hanno messo in una situazione di difficoltà. Del resto, Lui comincia subito col farsi battezzare nel fiume Giordano, considerato maledetto, da Giovanni che era una sorta di... extraparlamentare e non va dai sommi sacerdoti nel tempio. Fa, quindi, una scelta di campo appena comincia la Sua vita pubblica.
Noi, però, siamo stati abituati ad avere un cristianesimo all'acqua di rosa che ci ha tenuti soggiogati per secoli con una religiosità passiva.
Ma in questo contesto, la frase: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mc. 15,34) potrebbe essere una traduzione non corretta, un rimaneggiamento? Sicuramente lo è. Ai piedi della croce non c'erano... i giornalisti che prendevano appunti e i Vangeli sono stati scritti a distanza di decenni.
Se, per esempio, ognuno di voi scrivesse qualcosa su quello che io ho detto per anni, sicuramente verrebbero fuori delle cose diverse nonostante abbiate ascoltato gli stessi discorsi.
All'epoca di Gesù, nello stile letterario si usava normalmente fare il trasferimento di sana pianta della modalità di un racconto su un altro racconto. Anche noi usiamo cominciare le favole con il "c'era una volta". E' un modello culturale. Altro esempio: nel linguaggio sportivo per indicare che si è segnato un goal, si dice "ha sfondato la porta". Tra qualche secolo, chi leggerà quest'espressione, capirà che è stata rotta la rete...
Allora, dobbiamo imparare piano piano a costruire il Vangelo che è Gesù. Noi siamo tante persone più o meno mutilate, più o meno cadaverizzate. Il lavoro da svolgere è quello di prendere consapevolezza dei pezzi che ci mancano ed esprimere il meglio di quello che era il nostro genuino che, purtroppo, è venuto a mancare per effetto della cosiddetta "educazione religiosa".
Ho visto persone vomitare quando si accorgevano di aver mangiato pane e mortadella di venerdì, quando era proibito... Una situazione del genere è un assurdo che viene attribuito alla divinità. Così ad un uomo fu imposto dal confessore di mettere una tavola di separazione nel letto tra lui e la moglie per non avere rapporti che fino a qualche tempo fa dovevano essere finalizzati solo al concepimento...
Noi crediamo di esserci emancipati, ma abbiamo un retaggio enorme da scrostarci di dosso!
Come spiegare la scelta di andare incontro alla morte di alcune persone amanti della vita? (Etty Hillesum, Massimiliano Kolbe, per esempio).
E' molto difficile esprimere un giudizio su un'altra persona perché le intenzioni non si possono conoscere. Massimiliano Kolbe che si sostituì ad un padre di famiglia nella condanna a morte, compì un atto di generosità, ma bisogna avere molta cautela perché ciò che avviene nella mente di una persona sfugge pressoché completamente agli altri in quanto si può osservare l'aspetto epifenomenico, ma quello noumenico, interno, del pensiero non è di pertinenza altrui. Ciò che succede nella vita di un'altra persona non lo si potrà mai sapere.
Questo connubio indissolubile tra evangelizzazione, socializzazione ed umanizzazione non può essere in alcun modo scisso. Una persona che è in contatto con l'evangelizzazione deve profondamente entrare nel possesso della propria realtà. Se non entra nell'emancipazione della propria autonomizzazione recuperando la propria materialità, la propria sessualità, la propria relazione, finisce con l'essere un soggetto sospeso in aria che non ha nulla a che vedere con il Vangelo che è Gesù Cristo che ci ha detto di essere un tutt'uno con noi. Quindi, come Lui è stato pronto a vivere la Sua vita, così noi dobbiamo viverci la nostra (se è nostra). Ma se la vita che viviamo non è la nostra, vuol dire che ci siamo lasciati alienare e l'alienazione è una forma più o meno blanda di cadaverizzazione.
Nell' "Evangelii Gaudium" c'è un altro spunto interessantissimo che si trova sviluppato nell'enciclica "Mystici corporis" di Pio XII, come, cioè, tutto il Vangelo non è quello scritto, ma è quello che si snoda nella storia dell'uomo che esiste e che lotta per cercare di trovare il proprio volto originario.
Ciò significa che ognuno di noi deve scavare nell'altro per incontrare l'immagine di Cristo che si prolunga nella storia. "Qualunque cosa avete fatto ai più piccoli, lo avete fatto a me"... (Mt. 25,40).
Quindi, noi abbiamo l'opportunità di entrare in relazione con il Vangelo e stabilire un'evangelizzazione profonda per noi entrando in relazione con l'altro, ma non facendogli l'elemosina, ma valorizzandolo perché si emancipi e raggiunga la sua autonomia.
E' molto facile fargli l'elemosina. E' molto difficile fargli vedere che cosa ha dentro di sé da sviluppare per poter trovare la via che gli dia l'opportunità di cominciare al esistere senza distruggere la propria dignità. Nel mondo contemporaneo esiste l'elemosina del lavoro. Questo toglie la dignità al lavoro come espressione della creatività della persona. L'assistenzialismo fa a pugni con il diritto primario al lavoro. Pertanto, siccome il lavoro oggi dipende dalla politica, chi è evangelizzato, non si può defilare dalla responsabilità politica che è la prima forma d'amore.
Oggi si fa un gran parlare del reddito di cittadinanza. Questo è il massimo danno alla dignità della persona che viene resa come una mantenuta e non come una che viene chiamata all'esistenza perché operi. Inoltre diventa ricattabile dal potere che la mantiene.
Così è e così sarà se noi assumiamo un atteggiamento passivo. Se, invece, siamo piuttosto critici nel renderci conto di come vanno le cose e nel vedere che apporto possiamo dare noi per la modificazione del corso della vita, ecco che allora l'evangelizzazione diventa un impegno sociale.
Come esplicitare al meglio, fuori di noi, la comunione eucaristica? Dobbiamo cercare di capire come Gesù ha voluto utilizzare un segno per indicare la totale comunione con noi che è una relazione intersoggettiva. Nell'ultima cena Gesù stabilisce una relazione amicale profonda: "Non vi chiamo più servi, ma amici"... (Gv. 15,15). E a tavola non c'erano certamente solo i discepoli, ma anche le altre persone della casa. Noi, poi, attraverso i secoli abbiamo talmente immobilizzato e sacralizzato il sacerdozio da creare una sorta di gerarchizzazione che oggi va scomparendo. I seminari si sono ridotti. A Napoli la media dell'età dei preti è 67 anni. Bisogna cominciare a pensare ad una Chiesa senza preti.
Comunque non si può accettare l'Eucaristia se non si accetta il fratello. E' un discorso molto complesso, ma noi ci siamo talmente abituati al rito che non entriamo nella scelta di fondo.
Scegliere Cristo è una cosa molto più globale. Si può essere in comunione con Cristo anche non accostandosi all'altare. Ma occorre del tempo per acquisire questa consapevolezza.
Gesù, quando manca il pane, dice ai discepoli: "Date voi stessi da mangiare" (Lc. 9,13), ma non si riferiva al pane, bensì a loro, e S. Paolo esorta ad un'equa distribuzione dei cibi e, quindi, fa un discorso di allargamento di una cena conviviale. La comunione è allora costruire una fratellanza. Siccome noi abbiamo poi creato una massificazione del cristianesimo, sono venute fuori delle assurdità.
Papa Francesco non riesce a cambiare il Vaticano, figuriamoci il messale! "E' come usare lo spazzolino da denti per trasformare la sfinge" - ha detto in un discorso.
Lui si sente prigioniero di una situazione in cui anche tutti noi siamo prigionieri. Ma a mano a mano che si riescono a superare certe categorie concettuali, ci si libera ed allora questo può essere detto ad un altro e ad un altro ancora.
Il gruppo di persone che si incontrano anche in mia assenza stanno facendo bei passi avanti perché si confrontano su quello che pensano realmente e che è il Vangelo vivo.
Ha ancora senso la teologia morale? La morale, in quanto tale, che senso ha per l'umano? La morale è una sovrastruttura. Maggiore è l'avvicinamento all'etica, minore è la pressione morale. La morale è già confessionale, l'etica è più naturale. "Etica" significa "fare sé", cioè è la via che conduce l'uomo a realizzarsi. A mano a mano che l'uomo si avvicina all'etica, si allontana dalla morale e si avvicina alla natura.