19° INCONTRO DEL 26-02-2018 nella parrocchia di Santa Maria della Libera

C'è una bipolarità tra l'uomo prescrittivo e l'uomo promozionale. Per entrare in questa tematica, bisogna cercare di capire la differenza tra vivere ed esistere.

Noi siamo passati da un modello di vita sotto il giogo prescrittivo dove la dogmatica, la morale, la cultura, la condotta, il comportamento, ecc., determinavano l'uomo così come doveva agire. Questo è stato imposto a ciascuno di noi progressivamente ed assunto come per una sorta di permeazione. Questo è l'uomo prescrittivo, quello che è prevalentemente eteronomo.

Negli ultimissimi tempi, stiamo assistendo al modello culturale (non sociale) dell'uomo che va incontro alla promozione e, quindi, al processo evolutivo, al recupero della soggettività, dell'unicità, della personalizzazione originale.

Si comincia, così, a pensare alla possibilità per l'uomo di entrare in una nuova vita non intesa come quella dell'aldilà. Questa nuova vita insorge come il dischiudersi della corolla di un fiore quando quello che è contenuto nell'uomo nella linea della promozionalità si apre progressivamente ad una nuova esistenza.

Noi abbiamo la vita prima ancora che ce ne accorgiamo. Non sappiamo di nascere, non sappiamo di essere bambini, andiamo a scuola senza averlo deciso noi, facciamo la prima Comunione perché così si fa, ci diplomiamo, ci laureiamo, ci sposiamo seguendo tutto come una linea quasi prescritta. In pratica, viviamo e non sappiamo di vivere. Ne prendiamo atto solo successivamente quando, riflettendo con uno sguardo retrospettivo, ci accorgiamo che  possiamo cominciare a prendere possesso della nostra vita, di cominciare, cioè, ad esistere.

Quindi, prima viviamo, poi esistiamo passando da un modello di vita che ci appartiene solo de facto, senza che ce ne accorgiamo, ad un tipo di vita in cui cominciamo a renderci conto che possiamo rinascere. La rinascita non richiede la caduta da cavallo sulla strada di Damasco, perché è l'insorgenza di una realtà che vive in noi, ma che a volte è stritolata dalla sovrapposizione delle cose che ci comprimono. Quando riusciamo a prendere consapevolezza del nostro essere nella sua originalità, quello è il momento più interessante della vita perché comincia ad essere la "nostra" vita.

Ma questo avviene troppo tardi. Spesso, quando ce ne accorgiamo, ci resta poco tempo.

Dunque, l'appropriazione di questa dimensione è una nuova vita che, ripeto, non è quella dell'aldilà.

Sto cercando di invitarvi a riflettere se entrare nella profondità del nostro essere per cogliere questa dimensione e poterci schiudere, promuovere, muoverci, ma dal di dentro.

Noi abbiamo il concetto che il modello educativo venga dal di fuori. La persona, se vuole crescere, cresce, ma se non vuole, è inutile bombardarla dal di fuori. Ecco perché ci vuole più tempo per nascere nel senso profondo della parola. Bisogna entrare nella profondità del proprio essere per potersi incontrare con l'ambiente nel quale si vive perché se non si entra in sé, è difficile trovare il minimo comune denominatore che mette in relazione all'altro il quale ha una caratteristica che solo come minimo comune denominatore si avvicina a sé.

Se tu scendi nel pozzo della tua realtà intima, lì trovi tutti i fiori che nascono sull'albero, ma tutto parte dal seme. Questo, seguendo il suo modello genetico, si evolve fino ad emettere la radichetta, il fusticino, la piumetta e poi il fiore ed infine il frutto.

Noi apparteniamo alla stessa realtà. Il codice genetico del carciofo è molto vicino al nostro. La lettura dei geni è ravvicinata. Noi vediamo le differenziazioni, ma basta inibire qualche gene per cambiare una razza. Sono studi di genetica iniziati con Spallanzani e proseguiti da Mendel su cui noi abbiamo solo una visione di grande superficialità.

Se scaviamo nel profondo, l'uomo quando riduce le differenziazioni culturali e va alla naturalità, si incontra molto più facilmente con l'altro che non quando si evolve eccessivamente su un piano di razionalità raffinato. Per esempio, di fronte alla pericolosità, si verificano delle regressioni che avvicinano le persone quasi all'improvviso. Di fronte ad un terremoto o ad una guerra, c'è una sutura rapidissima tra le persone che familiarizzano immediatamente. Viceversa, in situazioni normali, se c'è una forte differenziazione culturale, questo non avviene. Il dottorone universitario si mantiene a distanza di sicurezza dal contadino o dall'operaio. Capita anche che nei condomini di quartieri "bene", le persone si conoscono appena mentre in quelli dei quartieri poveri c'è un rapporto di comunità generale che nasce dal bisogno esterno. La stessa cosa si verifica negli ospedali dove si vive uno stato di difficoltà di fronte all'ignoto.

Questo è un aspetto, ma io stavo mettendo in risalto l'opportunità di impossessarsi di una nuova vita. Quando è possibile questo? E' possibile sempre quando la persona riesce a scendere nell'intimo che è la base dell' "in" per poter trovare quell' "in"che sta in sé, l' "in" che sta nell'altro e in questi due "in" incontrarsi facilmente. Quindi, passare al "con" (in-con-tro).

Se ho trovato il mio "in", io colgo il suo "in" e mi stabilisco sulla stessa lunghezza d'onda senza mettermi in un atteggiamento di superiorità e di impossessamento dell'altro che va considerato appunto, altro da me ("tro"), perché se lo riduco al mio bisogno, io lo distruggo come altro, lo porto nella mia categoria deformandolo nella sua oggettività, facendolo insorgere come una proiezione del mio bisogno. Se lo vedo come tale, l'altro non è più quel che è, ma è quello che io voglio che sia.

Se c'è un capovolgimento dell'essere, l'incontro non avviene più.

Allora, la "nuova vita" comincia quando io posso entrare nel mio intimo, nel mio profondo e posso accorgermi che tutto quello che ho fatto precedentemente l'ho fatto, probabilmente, senza sceglierlo perché la scelta presuppone l'accorgersi di avere la capacità di scegliere.

Quando avviene il nostro inizio? Quando ce ne accorgiamo, ma in quel momento è già... iniziato!

Se noi non ci siamo perché ce ne accorgiamo dopo, vuol dire che la nostra esistenza insorge dopo l'inizio. Allora, il nostro inizio avviene... dopo l'inizio!

E' difficile entrare in queste tematiche e cominciare a capire che noi abbiamo l'opportunità di una "vita nuova" che è proprio l'ex-sistere, l'uscire fuori da dove si è per leggersi come si è. Io sono una realtà che secondo le mille stimolazioni che mi capitano da fuori e da dentro, posso dare una mia risposta e in questo ex (uscir fuori) e sistere (collocarsi), io mi radico nel mio essere.

In pratica, uscendo fuori dalla mia dimensione di avvolgimento nella cultura senza criticità, comincio a rendermi conto di quello che posso fare, che ho fatto, che voglio fare, che posso fare, che so di fare, ecc.. Il sapere è un aspetto, il volere è un altro aspetto, il fare è un altro ancora...

Questo groviglio che vive in me, esiste in me? Questa dimensione di appropriazione richiede un entrare nel profondo del nostro essere e uscirne fuori per vedere che cosa c'è dentro. Questo vedere dentro ci dà l'opportunità di un orientamento che è consono alla nostra prima esistenza, cioè quello di dare inizio alla nostra vita.

Questo vuol dire prendere consapevolezza di ciò che si ha dentro? La parola "consapevolezza" è piuttosto abusata perché pronunciata con molta disinvoltura. In effetti, la consapevolezza è l'assaporamento del proprio essere, è la sapienza...

Quando abbiamo parlato del discernimento, ho messo in evidenza l'aspetto della conoscenza della verità e la libertà, perché la nostra verità non può arrivare a noi se non siamo liberi da una serie di condizionamenti, alienazioni e strumentalizzazioni che, purtroppo, ci permeano.

Questa permeazione rende difficile cogliere quello che è il condizionamento e quello che siamo noi nella nostra autenticità, in quel programma genetico del nostro vivere che poi aspetta di dischiudersi. Noi siamo più abituati al modello prescrittivo che a quello di promozione. Il prescrittivo sta nel fare. Il promozionale sta nell'essere che qualche volta è consapevolizzato nel senso di acquisito, di assaporato.

Quante volte sentiamo la parola "amore", ma quando si sperimenta l'amore? Quando lo si vive. L'amore non può essere programmato prima di essere vissuto, altrimenti non è amore.

E' difficile usare un linguaggio che giunga ad ogni persona. Qui siete in tanti ed ognuno ha un'esperienza diversa. Io posso esprimermi usando queste parole, poi ciascuno le recepisce secondo il modello esperienziale proprio ed è qua il problema.

Per quanto mi riguarda, nella mia vita cronologica ci sono stati vari attimi in cui ho preso maggiormente contatto con me e mi sono appropriato di alcuni aspetti, ma molti altri sono rimasti ignoti perché nessuno di noi conosce sé in quanto siamo un mistero per noi stessi. A mano a mano che faccio esperienza di me nel procedere in questo dinamismo esistitivo, mi esprimo nella misura in cui posso e nella misura in cui voi ve ne potete appropriare. Sono opportunità che ci diamo reciprocamente perché quando qualcuno di voi interviene nel dibattito, mi dà comunque un rimando che mi fa rendere conto che la profondità è una cosa completamente diversa anche quando si usano le stesse parole. Dal contesto si coglie, cioè, se quella parola scaturisce da una riflessione profonda, intima o è... appiccicata.

Per esempio, quando si parla di maternità, ogni mamma lo fa a modo proprio (se la vive), ma sono modi assolutamente diversi. Una mamma stabilisce una relazione con il figlio prima ancora che nasca, da quando sente battere un cuore che non è il suo. Si stabilisce un rapporto simbiotico, all'unisono, ma con un'alternanza di battiti di cuore. Questa è l'esperienza più accorata che mette d'accordo la vita. Se invece, le due vite si contrappongono, vuol dire che c'è un malessere dell'una e dell'altro. Solo quando c'è un'armonizzazione della sintonia dei battiti cardiaci della mamma e del feto, allora si comincia ad avere uno scambio. Quindi, il primo linguaggio usato per la relazione è quello ormonale. Appena la donna è incinta, riceve una sorta di messaggio di presenza del figlio. Poi c'è il linguaggio sensoriale, poi affettivo, sentimentale ed infine operativo. Sono linguaggi successivi e progressivi.

Ritornando al discorso di prima, al pensare quando si è cominciati ad esistere, è chiaro che le cose personali restano tali anche quando ce le comunichiamo o abbiamo l'impressione di avercele comunicate. Devo dire che in alcuni momenti della mia vita ho avuto dei colpi pesanti. Posso ricordare alcuni di questi episodi di vita soprattutto quando, ad un certo punto, mi sono venuto a trovare a Napoli senza sapere come. Non fu una mia scelta. E' stata una combinazione e tante combinazioni mi hanno messo più volte a contatto con me. Accompagnai un prete dal cardinale Ursi. Quando questi mi vide, mi disse che dovevo assolutamente trasferirmi a Napoli (da Campobasso dove ero segretario del Vescovo e svolgevo altre numerose mansioni). Avuto il permesso, mi trasferii da un momento all'altro cambiando radicalmente vita.

Abbiamo tutti centomila opportunità nella vita e tutte possono essere utilizzate per "esistere". Non so se vi è mai capitato di avere qualche volta un'esperienza lampo retrospettiva per cui  leggiamo quasi d'improvviso la nostra vita e colleghiamo i vari episodi della nostra esistenza... Io non avrei mai immaginato, anni fa, di potermi trovare qui a parlare...

Tutto questo mi fa pensare a Giona, il profeta invitato da Dio ad andare a Ninive dove però lui non intendeva assolutamente andare. Dopo una serie di disavventure, poi decise di andarci.

Anch'io ho vissuto esperienze traumatiche in varie parrocchie a Napoli dove ero mandato. Ogni volta, queste esperienze mi hanno dato l'opportunità di accorgermi che la vita offre tante occasioni. Domandarsi il perché è quello che ci genera e costituisce l'inizio della nostra vita che è sempre, permanentemente, un inizio, perché la domanda che ci poniamo diventa per noi un'opportunità di risposta.

Quindi, non saprei dire quando ho cominciato ad esistere. E' stato un fatto talmente progressivo!... E' come un figlio che stando sempre sotto gli occhi della madre sembra non crescere mai, ma chi lo vede a distanza di tempo nota la crescita.

E non so quando ho avuto il coraggio di parlare pubblicamente perché da piccolo ero piuttosto timido. Ora lo faccio con naturalezza anche senza prepararmi.

La vita appartiene a tutti noi come fruitori. Noi fruiamo della vita, ma non ne siamo i causanti...

E se scopriamo di avere dei modi di essere nella nostra vita che non ci piacciono? Per deformazione professionale noi distinguiamo quello che ci piace da quello che vogliamo, da quello che sappiamo, ecc., ma la vita non fa queste distinzioni. Siamo spinti a vivere e della vita, così come ci capita, noi prendiamo l'interrogativo che ci pone e diamo delle risposte che sono valutate al momento. Questo è il discernimento perché nel nostro essere ci sono delle spinte pulsionali, libidiche, istintive, naturali. Trasportando sul piano spaziale quello che avviene sul piano psicologico e applicandovi dei vettori di pressione e di trazione, noi abbiamo forze che ci attraggono da una parte e altre che ci spingono dall'altra parte formando un campo di forze che ci interpellano: "Ora come ti muovi?". E in questo campo di forze antagoniste o concordanti, l'uomo dà la sua risposta. Se le trazioni vanno tutte su di un lato, non fa fatica, ma quando si verifica una situazione conflittuale ("Faccio questo o faccio quello?"), il discernimento è più difficile.

Ci sono centomila situazioni che danno una spinta al momento ed è in questa che l'uomo ha l'opportunità di chiedersi: "Che scelgo? La mia è una scelta libera o è condizionata da tutto un modello di vita acquisito?".

Non si può avere la verità se non si è liberi e non si è liberi se non si conosce la verità per cui se non si mette in atto il circuito virtuoso, noi andiamo da una parte all'altra senza indovinare qual è la nostra via. Questa è propria, è singolare, è difficile. Perciò Gesù dice: "Non giudicate, affinché non siate giudicati" (Mt. 5,1). Nessuno può giudicare l'altro perché non potrà mai sapere che cosa abbia portato quella persona a comportarsi in quel modo. Possiamo giudicare l'azione, ma non il soggetto che può darsi non sia mai sceso nella profondità del proprio essere e sappia discernere correttamente.

C'è chi premendo un pulsante ha scaricato l'atomica provocando centinaia di migliaia di morti...

C'è Ipazia, filosofa e scienziata alessandrina, che fu scorticata e fatta a pezzi dai cristiani e il vescovo Cirillo che poi fu fatto santo. Non possiamo giudicare le intenzioni... Però ci accaniamo a proclamare i santi quasi per categoria. I Papi, per esempio, sono quasi tutti santi, ma è una forzatura enorme.

Il condizionamento è ineliminabile. Se noi andando a verificare che quello che abbiamo acquisito per cultura ci accorgiamo che non è giustificato, possiamo modificarlo. E quello è l'inizio della nuova vita.

C'è poi chi non riesce ad impossessarsi della propria vita perché non si è mai accorto di esistere... Se provate a chiedere alle persone che conoscete: "Perché vivi?", la risposta viene elusa perché è difficile, in quanto chi non ha fatto un'interiorizzazione personale non è capace di rispondere.

Le esperienze sono diverse, però è necessario che il soggetto se ne accorga e se ne lasci intridere. Anche se decidesse di fare... l'eremita è necessaria l'appropriazione di sé che è una cosa difficile che qualche volta richiede una vita intera.

Si può donare la propria energia ad un altro? Si può se si prende contatto con la propria energia e ci si mette in atteggiamento oblativo nei confronti dell'universo. In America stanno studiando e sperimentando da diversi decenni come rendere possibile il convogliare l'energia di una persona verso una situazione. Noi siamo poco consapevoli di noi stessi. Abbiamo una quantità di energia che non conosciamo. Ci sono dei piccoli uccelli capaci di migrare e arrivare fino in Africa. Si cerca di scoprire se nelle loro piume ci sia qualcosa come l'urea, capace di trasformare in energia la luce del sole per poter spiegare l'origine di tanta resistenza.

Abramo, il nostro padre nella fede, sentì che Dio gli diceva: "Lascia la tua terra e va' nella terra che io ti indicherò" (Gn. 12,1). Questo significa che la nuova vita inizia quando lo vogliamo noi e non può essere uguale alla precedente. L'avventura ha proprio l'aspetto futuristico; è l'uomo nuovo che però stenta ad insorgere perché l'uomo vecchio non vuole morire; è avere quella disponibilità che nel Vangelo viene chiamata "povertà", cioè essere  gli "anawim" pronti al cambiamento, perché l'inizio è tale se è un cambiamento, altrimenti non è un inizio.

E' attraverso il dolore, il piacere, la gioia, la solitudine, la compagnia, ecc. che si fa esperienza, ma non dopo, è durante. Non si fa l'esperienza del parto dopo aver partorito, ma il parto stesso è l'esperienza.

A mano a mano che si sperimenta, la vita si svolge e diventa "esistenza". Si passa, cioè, dal vivere senza saperlo al vivere guardandosi ed interpretandosi.

La cosa fondamentale è quella di interrogarci per vedere se siamo personalità prescrittive o promozionali. Se ci riconosciamo prescrittivi, può darsi che dobbiamo mettere sotto critica questa nostra posizione per addolcirla dando un po' di spazio in più alla personalità promozionale.

Questo è un cammino che possiamo fare ed è un'opportunità per conoscersi ed esprimersi meglio senza limiti tenendo presente che il limite può essere letto non come ostacolo, ma come punto di partenza verso l'infinito.

La persona promozionale ha sempre questa prospettiva aperta all'infinito. Quella prescrittiva, purtroppo, si va a conficcare nelle situazioni in cui predomina la prescrizione. E dove c'è l'imperatore, ci sono i sudditi...


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