"Meglio mai che tardi"...
Noi siamo abituati a dire: "Meglio tardi che mai". Dobbiamo cercare di capire fino in fondo perché è "meglio mai che tardi".
Quando prendiamo consapevolezza della nostra realtà, possiamo commettere il grosso errore di pensare che la nostra vita sia legata alla nascita senza l'esistenza. La vita senza l'esistenza non ci appartiene e della nostra vita noi sappiamo ben poco.
Quando vogliamo sapere, dobbiamo avere la capacità di fare delle scelte. Scelte di cui lungo il percorso esistenziale ci avvaliamo raramente.
Quando possiamo dire veramente di avere scelto quello che facciamo? La scelta presuppone che ci sia il livello di maturità che è progressivo e molto lento. E' l'acquisizione del discernimento che presuppone la conoscenza della verità coniugata con la libertà.
Se ricordate bene, abbiamo fatto un discorso approfondito sul discernimento e abbiamo visto come la persona abbia difficoltà ad acquisire un discernimento valido per potersi collocare esistenzialmente nella situazione in cui si trova a dover vivere. Poi si accorge che nella sua vita ha scelto ben poco ed allora è meglio che ciò non avvenga perché non c'è più il tempo per fare delle scelte per una vita che è già passata.
Su questo si richiede un po' di riflessione. Noi diamo per scontate molte cose, ma che scontate non sono. Ci troviamo ad andare a scuola senza averlo mai scelto, intraprendiamo una professione che non abbiamo mai scelta, ci troviamo ad essere sposati più per una pressione culturale che per una scelta personale, ecc.. Le scelte sono rare...
Perché siete qui? Perché è consuetudine riunirsi il lunedì sera o perché volete approfondire il senso della vostra esistenza per appropriarvi della capacità del discernimento per scegliere quello che appartiene profondamente alla novità dell'esistenza del singolo?
Il singolo, solo quando fa delle scelte rare, può dire di aver scelto, altrimenti c'è l'incidenza del condizionamento culturale che è talmente pressante che difficilmente uno se ne rende conto.
Poco fa, mi è stato chiesto: "Come mai Gesù si è andato a battezzare?". Noi fin da piccoli siamo abituati a sapere del battesimo di Gesù. Ma perché lo ha fatto? Che voleva dire battezzandosi? Questo offre uno spunto di riflessione per cambiare radicalmente il modo di vedere.
Gesù si fa battezzare da un certo Giovanni Battista che era uscito dalla struttura societaria ed era ritenuto una sorta di... extraparlamentare che metteva in difficoltà i Sommi Sacerdoti, il Sinedrio, il tempio, ecc.. Gesù va da lui nel fiume Giordano considerato fiume maledetto. D'altra parte, era nato da Maria il cui nome era considerato altrettanto maledetto perché ricordava quello della sorella di Mosè che aveva contratto la lebbra...
Gesù non si è lasciato minimamente condizionare dal dato culturale. Ha fatto delle scelte totalmente personali. A 12 anni già sta nel tempio a discutere con i Sommi Sacerdoti...
La dimensione della responsabilità (da res ponderare), cioè del discernimento richiede l'intelligenza che è a monte della decisionalità perché attiva la volontà che non è altro che un'idea forza. Quindi, presuppone la conoscenza per poter scegliere. Le scelte libere, intanto sono possibili, in quanto c'è una capacità intellettiva nel cogliere le situazioni ed hic et nunc determinare le scelte stesse cercando di ridurre al minimo l'incidenza pressoria e mettendo in evidenza l'elemento espressivo, genuino, particolare.
L'aspetto espressivo di noi stessi è un elemento che ci costituisce nella nostra personalità. Il che significa che non troveremo quasi mai un'istituzione strutturale che ci può accogliere adeguatamente.
L'accoglienza adeguata richiederebbe un'istituzione corrispondente alla nostra unicità. Ma nessuna istituzione è mai corrispondente all'unicità perché è una forma di legislazione massificante.
Del resto, nessuno trova perfettamente l'adeguamento nell'altro.
Quando c'è l'annebbiamento dell'innamoramento, allora si verifica una prevalenza del dato emozionale su quello razionale per cui tutto sembra essere rose e fiori. Ma appena si esaurisce la carica emozionale e subentra quella razionale, allora si cominciano ad evidenziare le differenze e le insopportazioni.
Quando poi cambia qualcosa, tutti siamo disorientati, purtroppo. Anche Papa Francesco era partito in quarta e diceva delle cose che ora non dice più. Se si cambia anche soltanto una piccola cosa che va ad urtare l'equilibrio del muro dell'edificio che abbiamo nella nostra testa, facciamo fatica a rivedere tutto il sistema.
Quando vi ho detto: "Meglio mai che tardi", parecchi di voi hanno pensato che non ragionassi, perché essendo abituati a dire: "Meglio tardi che mai", la formula inversa ci sorprende e ci lascia disorientati.
"Meglio mai che tardi" perché arrivare tardivamente a prendere in mano la gestione della propria esistenza, può essere una grande delusione per cui si può rimanere freddati dall'aver preso coscienza di una vita che non ci è appartenuta.
Ma arrivati alla consapevolezza della propria esistenza, non si può invece godere della bellezza del percorso che ci ha portati a questo oppure prevale per forza la delusione del proprio vissuto?
Sono vere entrambe le posizioni. Esiste l'opportunità di prendere consapevolezza (quindi di discernere) e cominciare una nuova vita, cioè l'esistenza, l'ex-sistere, il mettersi dal di fuori a considerarsi oggettivamente. Allora si può fare il confronto tra come si è vissuto e come quel vivere mi sarebbe appartenuto, ma che purtroppo non ho avuto il coraggio di svelare.
Se c'è un contesto che aiuta a "svelarsi", è facile farlo, ma se c'è un contesto opprimente, la propria rivelazione non si verifica e, quindi, si soggiace ad una pressione limitativa della propria genuinità.
Se ci andiamo a confrontare su questo, abbiamo grosse lacune da colmare. Una volta presa consapevolezza del sé, si può entrare nel gioco dell'impossessamento delle proprie potenzialità che devono essere espresse e, quindi, la nostra vita si mette in correlazione con l'essere che, nella sua totalità, è dinamico e mai statico. Ogni essere è "in fieri", in divenire.
La maturità di oggi non sorge d'improvviso, ma è fondata sul percorso del passato. La nostra è un'esistenza che sfugge in gran parte alla nostra decisionalità.
Quanto c'è stato della nostra decisionalità l'essere nati in quella data, in quel luogo? Niente! Quanto la nostra decisionalità ha influito sulla crescita? Niente!
Del resto ci sono persone che vivono una vita intera senza sapere di esistere perché non si pongono mai l'interrogativo dell'esistenza.
Gesù, intervenendo nella storia, pone un interrogativo a tutti coloro che costituiscono la comunità umana. Gesù è presentato come "segno di contraddizione". Che vuol dire? Che ti chiede: "Di qua o di là?" per cui tu ti devi determinare e devi avere gli elementi per farlo, cioè le esperienze che sono sulla linea del continuum e non belle e fatte. L'esperienza si fa mentre la facciamo.
Questi sono discorsi che fanno pensare, L'uomo che, particolarmente nel contesto storico contemporaneo è abituato alla fatticità, al fare in permanenza e in successione senza spazi di contatto, corre senza chiedersi il perché.
Una cinquantina di anni fa, per strada, facevo domande alle persone sul senso dell'esistenza. Il 97 - 98% rispondeva che aveva da fare e non aveva il tempo di interrogarsi sul senso della vita.
D'altra parte, quando le persone si incontrano, non si chiedono reciprocamente: "Ti chi sei?" perché la società nella quale viviamo non ci dà il diritto di dire chi siamo. Lo dice... la carta di identità che si sostituisce alla persona. Non si è nessuno se non lo dice... la carta (anche se falsa)!
Siamo talmente "avvitati" che ci sorprende un Gesù che a 12 anni va a discutere nel tempio, ci sorprende che va a farsi battezzare da Giovanni nel fiume Giordano, ci sorprende un Gesù che va liberamente a morire a Gerusalemme... Gesù è una sorpresa permanente!
Quanti di noi hanno il coraggio di sorprendere un amico che già si aspetta che tu sia quello che lui pensa che tu debba essere? Nel momento in cui tu ti accorgi di non essere come quello che sta nel suo mondo, te ne guardi bene dallo svelarti perché nel fare questo, lo sorprenderesti.
Ma la nascita ad una nuova vita potrebbe coincidere con la scoperta del sé? Ma che cos'é il "sé"?
Ogni domanda non può mai avere una risposta definitiva perché questa sarebbe la distruzione della domanda che è attivazione di una dinamica di conoscenza. Siccome la conoscenza è una generazione, non è mai perfetta. Noi, invece, pensiamo che la conoscenza sia un fatto definito, ma non è così. La conoscenza è un procedere. Tu, agli occhi tuoi, non sei quello che eri 20 anni fa... Pertanto, la conoscenza interiore richiede una vita intera.
Lallemant, psicoanalista francese, dice che ogni persona dovrebbe esercitarsi a... prendersi per i capelli, tirarsi fuori e guardarsi nel volto chiedendosi: "Perché sto dicendo questo?", "Perché sto facendo questo?" per scoprire quali sono le motivazioni che portano un soggetto ad essere in un modo o in un altro. Le variabili che intervengono a determinare le azioni di una persona sono talmente tante che il soggetto, se vuole avere la chiara visione di un suo comportamento anche di un solo giorno della sua vita, ha da pensarci parecchio tempo.
Se sul tempio di Delfi, persone che erano abituate a pensare, scrissero: "Conosci te stesso", lo fecero perché la conoscenza del sé è molto difficile.
I mistici parlano poco perché pensano molto. Oggi si pensa molto di meno perché si fa molto di più in quanto la società è più produttiva che qualitativa. Lo stesso divertimento non è più vissuto come espressione del sé, ma come imposizione a sé. "Divertimento" viene da "divergere", cioè lasciare una direzione per sceglierne un'altra. Questo presuppone la conoscenza dell'altra direzione. Invece, diventa un passare per pressione e non per espressione.
Anche venire qui, andare a Messa, battezzarsi, ecc. rientrano in uno schema. Tutti i riti che Gesù ha fatto come novità, noi li abbiamo presi, immobilizzati e imposti facendo loro perdere il senso che avevano quando sono stati fatti da Gesù.
In parole più semplici: Gesù è vissuto. Ha detto: "Io sono la vita". Non aveva un programma prestabilito al quale doveva attenersi. Si è trovato a tavola con gli amici ed ha mangiato, si è trovato a contatto con delle persone e ha detto delle cose... Ha preso, cioè, lo spunto dal Suo essere vivo. Noi abbiamo perso questa dimensione.
Oggi c'è il blockchain con il quale la società sta predisponendo una banca dati per cui in qualsiasi punto della terra sarà possibile sapere tutto di tutti. Questo, apparentemente, sembra non riguardarci in quanto pensiamo di non avere nulla da nascondere. Invece, è un problema grosso perché si tratta di una manipolazione che depriva la persona della libertà di essere e di gestire la nostra esistenza. Questo è il preludio all'imposizione del microchip.
Un domani ci diranno anche a che ora alzarci, che cosa mangiare, ci imporranno... le mutande di lana e controlleranno se le portiamo...
E' possibile che noi possiamo ritenere volontà dello Spirito Santo quella che è, invece, la nostra volontà?
Porto un esempio: un missionario in Africa, dopo essersi incontrato con gli indigeni sul piano della naturalità (Dio Padre, la natura, l'amore, ecc.), cominciò a trasferire lì i modelli culturali italiani. Costruì una chiesa di cui chiudeva la porta a chiave. Gli indigeni che vivevano in capanne aperte, notarono la contraddizione ed il missionario, non sapendo come giustificare i suoi comportamenti, capì di essere stato incoerente e lasciò la missione.
Che vuol dire? Significa che se una persona non ha la chiave interpretativa del processo evolutivo dell'essere proprio e globale, si trova ad avere... il tram di faccia e questo può produrre delle crisi che sono insolvibili.
Questo discorso deve servirvi da prevenzione di fronte alle novità che ci saranno di qui a breve.
Non sappiamo come si orienterà il prossimo Papa, ma la persona non può andare appresso al Papa X o al Papa Y se ha maturato dentro di sé la chiave interpretativa della sua esistenza.
La domanda di cui sopra: è lo Spirito Santo che dobbiamo cogliere o è lo Spirito Santo che parla attraverso di noi? Noi dobbiamo porgere l'orecchio per sentire lo Spirito Santo che cosa dice alla storia contemporanea attraverso i modelli culturali che si sviluppano nelle singole realtà personali per cui tutti quanti noi siamo responsabili per vedere Dio da che parte deve andare...
Questo è più impegnativo di quanto pensiate perché, purtroppo, noi, fin dalla scuola, siamo stati abituati ad un modello unidirezionale: ascoltare e ripetere.