Mi veniva in mente un argomento importante: la lucidità, perché alcune espressioni, quando non sono ben decantate, finiscono col lasciare obnubilati nella foschia senza permettere di coglierne profondamente il senso.
La lucidità è una virtù che non si può comunicare perché si acquisisce con l'esperienza e questa comporta il denudarsi, cioè avere la capacità di decurtare tutti gli orpelli che, lungo la vita, noi andiamo a mettere come incrostazioni sulla nostra realtà.
La lucidità non è penetrazione, non è intuizione, ma è il cogliere l'essenziale in un attimo senza tempo. La Pasqua è un momento di lucidità perché in essa la persona può cogliere d'improvviso l'essenza della vita senza lasciarsi condizionare da una quantità di incrostazioni che depistano.
Questo depistamento è dovuto ad una sorta di conflittualità per cui la persona finisce per l'essere trascinata su mille interessi che, valutati, risultano non avere l'importanza che qualche volta proclamano di avere.
La lucidità è l'esperienza che ci aiuta a cogliere, quasi nella profondità, l'essenzialità della Pasqua come vita. Noi leghiamo spesso la Pasqua al venerdì santo, alla morte, ma nella morte Gesù ci aiutò a cogliere la lucidità quando disse: "Consummatum est" (Gv. 19,30).
Quella era la Sua ora, l'ora in cui si spogliò completamente della Sua dimensione divina per entrare nella situazione storica, nella kenosis (svuotamento, annientamento), nella mortificazione di ogni elemento, addirittura della divinità.
Si trovò ad essere sotto il bombardamento della flagellazione, della crocifissione, del disdegno totale, della derisione, della condanna...
Vedete, allora, come Gesù si spogliò dei Suoi panni e venne rivestito dal manto della regalità sbeffeggiata, irrisa, portata al ludibrio (cfr. Is. 55). In questa situazione in cui Gesù venne completamente annientato, si tocca l'essenziale della Sua ora, quella in cui compì la missione nella sua profondità, cioè quella di dare all'umanità, ad ogni uomo che la compone, l'opportunità del traghettamento, del passaggio del mar Rosso, del passaggio del deserto, del passaggio dalla Gerusalemme all'ingresso nella realtà divina, ma non dopo la morte, ma dopo aver avuto l'esperienza che porta alla lucidità.
E' difficile cogliere la Pasqua come lucidità perché non siamo predisposti a cogliere la virtù della lucidità stessa. Siamo molto più predisposti a migliorare la nostra condizione. Invece, la lucidità non è un nostro miglioramento. Avviene solo per esperienza, quando la persona, attraverso il fuoco del crogiuolo, viene purificata e di accorge di dare peso a realtà che peso non hanno e, con una visione retrospettiva, si rende conto di quanto tempo ha sprecato ad entrare in angoscia e in ansia per esperienze decantate precedentemente di cui non aveva assolutamente necessità di lasciarsi turbare.
Cogliere allora, della Pasqua, la nostra ora per denudarci in modo da celebrarla come resurrezione a vita nuova così come abbiamo meditato qualche settimana fa: la nuova vita intesa come momento in cui il soggetto coglie la sua essenzialità che coincide con l'unicità dell'essere che essendo pregnante, si sviluppa nella multifunzionalità e nella multionticità.
Questa molteplicità dell'essere che si sviluppa in tanti modi diversi che però sono contenuti nell'essere dell'uomo, anelano a svelarsi, a togliersi il sudario, a togliersi le bende che restano nel sepolcro, per avere la possibilità di cambiare vita e, addirittura, entrare in una dimensione diversa.
Una dimensione diversa... Tanto che la Maddalena non riconosce più il Maestro risorto. Gli aveva chiesto, scambiandolo per il custode del giardino: "Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove l'hai posto e io andrò a prenderlo". Solo quando Gesù le dice: "Maria!" lei lo riconosce e lo chiama "Rabbunì" ("Maestro mio"). E Gesù: "Noli me tangere" ("Non mi toccare") (Gv. 20,15-17).
"Non mi toccare"... "Perché non puoi toccarmi. La mia è una dimensione altra. Non mi puoi trascinare nella dimensione del sensoriale, dell'apparente, del tangibile. Se vuoi cogliermi, devi uscire dalla tua dimensione ed entrare in quella pasquale".
La dimensione pasquale si trova nella profondità del nostro essere, nella profondità del cuore, cioè con l'avvicinamento non solamente al Cristo, ma al Cristo nella Sua totalità per cui nella celebrazione della Pasqua, l'uomo, nel segreto dell'intimo del suo cuore, ha l'opportunità di attraversare lucidamente il passaggio dell'intuizione, della penetrazione per arrivare all'ingresso nella novità completamente altra.
"Non mi toccare"... "Non mi toccare più con la stessa mentalità che avevi quando mi toccavi prima".
Questa è la resurrezione che comporta per l'uomo un cambiamento radicale per cui le stesse cose che fa finiscono per diventare talmente vellutate, talmente ricoperte da una realtà soprannaturale che anche il toccare le cose della quotidianità è diverso. Nel dare una stretta di mano, per esempio, dobbiamo sapere che gli atomi che costituiscono le molecole che formano le cellule del palmo della mano dell'altro si muovono con una velocità di 1.100.000.000 km. all'ora. Quella mano ha una complessità per esistere. Però non ci pensiamo mai. Se io ne colgo l'essenzialità e non mi fermo all'apparenza, ma cerco di entrare nella profondità, posso operare la resurrezione di quella mano che ho toccato tante volte e che magari mi ha dato fastidio... Posso ritoccarla e se mi libero da tutte le sovrastrutture e vado nell'essenzialità della relazione tra me e l'altro, entro nella dimensione del Tutt'Altro, dimensione alla quale io anelo senza saperne il perché.
In un certo momento della propria esperienza (soprattutto al termine della propria esistenza), ci si rende conto che tutto ciò che era considerato elemento di grande importanza, finisce in un baleno e quello che resta è la modalità con cui si relaziona la propria persona con se stessa, con quelli che le stanno attorno e con tutto ciò che la circonda.
Se potessimo celebrare la Pasqua non solamente a Pasqua, non solamente la domenica, non solamente nei giorni di festa, ma in tutti gli attimi della nostra esistenza, avremmo una Pasqua eterna, sarebbe quel passaggio del Mar Rosso, del deserto, della storia della nostra vita apparente per entrare nella Gerusalemme celeste, nella dimensione alla quale tendiamo perché solo lì c'è la pace intesa come realizzazione piena del nostro essere.
Perciò Gesù dice: "Sono venuto perché abbiate la vita e l'abbiate in abbondanza" (Gv. 10,10). "Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena" (Gv. 15,11).
Riempito il cuore di gioia, il soggetto è in grado di riversare sull'altro l'esperienza lucida del proprio essere.
In questo momento di silenzio totale, provate a cogliere un attimo la relazione tra voi e... i vostri reni. Avete difficoltà a coglierne anche l'ubicazione: dove sono? Che cosa stanno facendo?
E' in questa dimensione di profonda pace che l'uomo coglie l'essenza del proprio essere.
Due quintali di sangue al giorno passano attraverso i nostri reni, ma noi non ci accorgiamo neanche di averli (a meno che non si presenti una colica renale).
Ebbene la nostra vita è così: l'abbiamo e non ce ne appropriamo.
La Pasqua è così. Noi la celebriamo, vi giriamo attorno, compriamo l'uovo, la colomba, ecc., ma l'appropriazione della Pasqua è più o meno come l'essenza dell'importanza dei reni nel nostro corpo.
Quando siamo presi da un'idea, il nostro corpo è come assente, non lo sentiamo più. Non sentiamo che il sangue scorre, che il cuore batte, che i reni filtrano, che i polmoni osmotizzano l'ossigeno, ecc.. Non sentiamo niente, eppure la nostra vita scorre su tutto questo.
La lucidità ci mette a contatto improvvisamente con l'essenziale della Pasqua perché possa diventare per noi "la nostra ora". Quando quest'ora ci appartiene nella profondità del nostro essere, allora la centelliniamo, ce ne appropriamo, ci immergiamo nella vita che corre sì, ma mentre corre, porta con sé la tensione dell'andare verso. Ci dice che cammina verso una finalità.
Però chi non è abituato ad accorgersi di sé, ha difficoltà anche ad accorgersi del... pavimento che ha sotto i suoi piedi e che è fatto di marmo, di carbonato di calcio, una molecola molto complessa che sta in un movimento straordinario, molto più di un terremoto per cui ha in sé il messaggio del movimento e, quindi, l'ansia dell'arrivo e la necessità di porsi una finalità.
Questo parte dalla chimica inorganica fino ad arrivare alla finalizzazione intrinseca che solamente l'uomo ha in forma esplicita, consapevole. Ma anche ciò che è estrinseco all'uomo è portante il messaggio del movimento: il moscerino, la rondine, l'aquila, il progresso, le scienze... La resurrezione, poi, è il massimo del movimento.
Quando Gesù si presenta nella storia, cerca di ricoprirla di un senso che è esplicitazione, è svelamento di sé, è come l'apertura dell'uovo ad una vita diversa.
Se riuscissimo a cogliere in noi questa tensione ad esplodere!... La vita è sempre un'esplosione.
Provate ad immaginare per un attimo una ghianda che rompe il guscio, tira fuori la radichetta che scava profondamente nella terra come un punteruolo per poter aprire il varco al fusticino e poi alla piumetta. E' la forza della vita che esplode, è l'uovo che si apre, è la persona che comunica e nella comunicazione c'è la tensione a raggiungere l'altro per stabilire con questi una relazione che va oltre l'uno e l'altro, che va verso il Tutt'Altro. L'uomo passa, allora, da una dimensione storica e limitata ad una dimensione coincidente con la felicità.
La Pasqua, allora, non è il passaggio del Mar Rosso e del deserto, non è l'arrivo a Gerusalemme, ma è l'arrivo nella profondità del proprio essere dove c'è la forza esplosiva che diventa poi amore.
La Pasqua senza amore non ha senso perché la tensione giustificativa di ogni movimento è il raggiungimento dell'obiettivo che è la relazione comunicativa, che è arricchimento dell'uno e dell'altro e non l'annullamento dell'altro nell'imposizione del sé.
Solamente quando nella relazione c'è l'arricchimento dell'uno e dell'altro, si cammina verso la realizzazione pasquale. L'ora è ogni ora se è contrassegnata dalla capacità di leggere l'infinito nel finito.
Il movimento letterario del Romanticismo invitava a cogliere, appunto, l'infinito nel finito e quello è stato il momento in cui l'umanità ha raggiunto la lucidità.
Quando Gesù dice: "Ecco, noi andiamo a Gerusalemme, e tutto ciò che fu scritto dai profeti riguardo al Figlio dell'uomo si compirà" (Lc. 18,31), intendeva dire: "E' giunta la mia ora".
A queste parole, Pietro risponde: "Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai" (Mt. 16,22), ma Gesù lo rimprovera: "Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini" (Mt. 16,23).
C'è conflitto tra Pietro, rappresentante dell'uomo della storia e Cristo che si fa denudare, va all'essenziale e coglie la vita senza nessun orpello limitativo che diventa una sepoltura.
La Pasqua è l'abolizione delle varie sepolture che noi ci addossiamo anno dopo anno. Poi, quando si arriva al tempo del declino, ci si rende conto che, tutto sommato, non era il caso di sovraccaricarsi di una quantità di incrostazioni.
Buona Pasqua! E' facile dirlo, ma che significa? Significa tutto quello che ho detto se entra per lucidità nella nostra realtà dopo aver fatto un'esperienza di... lasciti permanenti. Lasci oggi e lasci domani, ti ritrovi non a niente, ma all'essenziale, ad essere nudo, senza sovrappesi.
E' difficile? Facciamo un esempio: quando una persona che comunica si arricchisce? La comunicazione è considerata come uno "squarcio sulla pelle". Quindi, solo quando si dà la possibilità all'altro di entrare nella propria pelle e far uscire da questa l'essenziale che ci costituisce, abbiamo l'opportunità di vivere la comunicazione che è altamente arricchente.
Quanto più noi ci chiudiamo, tanto più restiamo senza niente perché entriamo nell'esperienza dell'isolamento che è la morte, il sepolcro.
Invece, la Pasqua è l'eliminazione non solo delle bende, ma anche del sudario.
"Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte" (Gv. 20,5-7).
Perché nella descrizione del Vangelo c'è un soffermarsi sulle bende e sul sudario?
Che importanza potevano avere rispetto ai cento interrogativi che ci poniamo sulla resurrezione?
L'evangelista vuole ribadire il "Non mi toccare" che non è una proibizione, ma un invito a cambiare: "Non toccarmi come pensavi di potermi toccare, ma fallo con uno spirito completamente diverso".
Vi porto un esempio: che differenza c'è tra uno che abbraccia o bacia un altro con una carica emozionale e di amore profondo, e un altro che fa le stesse cose senza la delicatezza interna dell'intesa e dell'incontro con il soggetto del corpo dell'altro? Se è solo un contatto intercorporeo, è una cosa; se è un contatto intersoggettivo, è tutt'altra cosa. Se, però, non si è verificata l'esperienza che porta alla comprensione lucida dell'evento, un evento risulta uguale all'altro anche se sono diametralmente opposti.
Ma lo "squarcio sulla pelle" non deve essere fatto da entrambi i soggetti che entrano in comunicazione? Tu non puoi dipendere dalla condizione che l'altro ti pone. Puoi essere disponibile a far entrare l'altro in te attraverso il tuo squarcio. Puoi avere quest'esperienza raggiungendo questo livello.
Vi invito a leggere: "Lettera a frate Raimondo da Capua" di S. Caterina da Siena, patrona d'Italia, dottore della Chiesa (senza aver studiato) in cui la santa, chiamata ad assistere un condannato a morte, ebbe la lucidità di scrivere che coglieva nell'aroma del sangue del condannato, l'odore del sangue di Cristo in croce. Accolse poi la testa del condannato sul suo seno. Ora è chiaro che si può leggere questo episodio in chiave erotica, ma questo significa non aver colto che l'erotismo è un fatto mistico che dovrebbe condurre all'amplesso che è un arrivare che richiede un partire. Però, normalmente, la persona non parte perché ha paura di uscire da sé e, quindi, rimane avvinghiata alle proprie sicurezze per cui fa finta di allungare la mano, di abbracciare, di baciare, ecc., ma non lo fa veramente.
L'aspetto meccanico riguarda un'esecutività che è fuori dell'uomo, che fa parte della corteccia, dell'incrostazione. Ma la stessa esperienza se viene maturata dal di dentro, diventa una comunione.
Quando S. Caterina poggia la testa del condannato sul suo seno, ha sì una percezione anche sensoriale, ma quella sensorialità è rivestita del sublime che porta all'esperienza mistica. Però se uno non ha mai avuto la lucidità dell'esperienza mistica o non ha mai colto l'eloquenza del silenzio, non può capire.
Il silenzio, per esempio, è altamente angosciante. Se, invece, uno sa come assaporarlo, allora vive nel silenzio la ricchezza di tutti i linguaggi messi assieme.
Come si colloca il dolore nello svelamento di sé? Il dolore si colloca nella dimensione dell'esperienza. Può essere un'esperienza che ti apre ad una profondità di vita, può essere una svolta verso la positività totale o un'esperienza che ti chiude ermeticamente alla vita e ti spinge verso la negatività totale. Dipende da come il soggetto si pone nell'utilizzazione del dolore.
C'è dolore e dolore. Il dolore del parto, per esempio, ti può portare alle stelle. Infatti Gesù fa una citazione a questo proposito: "Quando la donna partorisce soffre perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bimbo, non ricorda più la tribolazione, per la gioia che un uomo è nato al mondo" (Gv. 16,21).
La donna dimentica subito i dolori del parto soprattutto quando vuole partorire e non quando vi è costretta. Il parto (da ex pario) è l'esperienza stessa; il parto, in questo senso, è permanente perché è l'immettersi su un sentiero di novità.
Gesù, citando la partoriente, vuole dire che chi si toglie di dosso il vestito protettivo, apparentemente sembra che soffra, ma la gioia che ne deriva nella comunicazione intima, è grande. Però bisogna averne fatto l'esperienza altrimenti è difficile cogliere questo aspetto.
Uno dei motivi per cui le persone hanno difficoltà a progredire nell'esperienza spirituale, è la mancanza di esperienza comunicativa perché la comunicazione è assai difficile. Noi pensiamo di comunicare quando facciamo... rumore con la bocca. Non è così che si comunica! Si vede subito quando una persona si appropria del messaggio, dell'esperienza di ciò che accade fuori di lei perché i mille eventi sono eloquenti per la nostra crescita, ma possiamo anche avere una quantità di esperienze che ci fanno prendere atto della nostra sordità.
Questo non è assolutamente rimproverativo, ma meditativo. Quante volte parliamo senza accorgerci di ciò che diciamo. Parliamo tanto per parlare, per cliché, perché se una persona si presenta nella sua novità, produce un effetto che richiede una sorta di rassicurazione collettiva, ma non intesa come comunitaria. E' collettiva come massificante, perché è come se tutti gli altri debbano dire le stesse cose che pensa uno senza averle elaborate per conto proprio.
In effetti, non c'è l'avvicinamento, l'incontro di persone che hanno riflettuto ed elaborato lo stesso modello, ma l'imposizione di un modo di vedere di uno che non è entrato in sintonia con gli altri.
Lo Spirito Santo è la relazione che intercorre tra Padre e Figlio? O sarebbe meglio chiamarla comunione? Sia relazione che comunione sono termini astratti, purtroppo, perché quando parliamo di Dio non sappiamo mai quello che diciamo. Quando diciamo "relazione", veramente sappiamo che cos'è? Lo stesso è per la comunione. Diciamo: "Vado a fare la comunione" come l'andare a prendere un oggetto, ma questo non significa: "Mi metto in comunione". Quando si diventa lucidi, si capisce il significato della relazione e della comunione, ma solo se si entra in relazione e in comunione. Altrimenti non si potrà mai cogliere lo Spirito Santo.
Perciò Gesù dice in continuazione: "Chi ha orecchi per intendere, intenda", e alla fine: "Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso" (Gv.16,12), perché l'esperienza lascia la persona immersa nel mistero dell'incomunicabilità in quanto può comunicare fino ad un certo punto.
Le cose che ho dette finora, se uno non le ha mai sperimentate, non ha potuto capirle. Ma io parlo lo stesso perché qualcuno può avere un'apertura su un campo dove non era mai entrato. Ho detto, per esempio, che abbiamo i reni e non ce ne accorgiamo, ma nel nostro organismo ci sono tante cose di cui non abbiamo assolutamente idea. Ci accorgiamo degli organi del nostro corpo solo se ci danno dolore.
Comunicare significa che una mia esperienza deve giungere ad un altro che non ha avuto la stessa esperienza. Quindi, questi si deve sforzare per entrare in linea di sintonizzazione con alcuni suoni che ho emesso dai quali ricavare una probabile esperienza. Solo se ha questa disponibilità interiore può accedervi. Questo non significa che è meglio non parlare più perché tra tanti che non colgono il messaggio, ci può essere qualcuno che lo fa. Del resto, Gesù, verso la fine della Sua predicazione, si ritrovò con i discepoli che non avevano capito niente.
Come considerare il tempo nel quale siamo immersi? Noi viviamo il tempo in modo completamente diverso a seconda delle circostanze. Cinque minuti prima dell'esecuzione della condanna a morte, sembrano passare immediatamente. Cinque minuti di attesa per avere una ricompensa, appaiono interminabili.
Il tempo viene registrato dal nostro sistema nervoso, ma non si riesce a capire qual è il senso che ce lo fa vivere in un modo o in un altro per cui resta nel mistero il fatto che un tempo, identico cronologicamente ad un altro, viene vissuto dal soggetto in un modo totalmente diverso.
Per esempio, da piccoli il tempo tra un Natale e l'altro sembrava un'eternità, così come quello delle vacanze. Ora sembra che non si faccia più in tempo a togliere l'albero di Natale che già è ora di rimetterlo...
Il tempo è un'esperienza e, a seconda delle esperienze che facciamo, ci relazioniamo al tempo in modo diverso. Certe volte, riempiamo il tempo facendo molte cose. In tre giorni di vacanza, per esempio, si fanno tante cose mentre in tre giorni nella monotonia del quotidiano, si può non fare niente.
Il tempo è anche l'opportunità di esprimere l'arte che è la capacità di andare, di creare, di inventare, di sorprendere addirittura il tempo stesso, quando lo si carica in modo diverso rispetto alla monotonia quotidiana.
Ma quello del dolore è un discorso difficile. Le donne spesso cercano di evitare il dolore del parto e invidiano gli uomini che nel rapporto di coppia vivono solo il piacere. E' così?
No, l'esperienza orgasmica femminile non ha nulla a che vedere con quella maschile perché mette in evidenza la mobilità della donna. L'orgasmo femminile è elastico, non è mai uguale. Cambia a seconda dello stato d'animo della donna, secondo il ciclo, secondo il partner, secondo la prospettiva, secondo la modalità, ecc.. Ci sono centomila variabili dove gioca il corteggiamento, la rassicurazione affettiva, il sentimento, la personalità, ecc.. Invece nel maschio l'orgasmo è statico e limitato.
Non vi agitate. Nella storia tanti preti hanno contribuito all'approfondimento della conoscenza dell'antropologia. Nei frontoni di alcune cattedrali tedesche sono raffigurati i riti di iniziazione sessuale che venivano fatti la notte di Pasqua. Poi li abbiamo tabuati tanto da considerare peccato il godimento sessuale da parte della donna. Addirittura sulle camicie da notte veniva ricamata la scritta: "Non lo fo per piacer mio, ma per dare figli a Dio".
Questo modello culturale ha inciso sulla modalità di vivere delle donne tra le quali si è verificata una frigidità molto diffusa, perché per lungo tempo si sono sentite condannate, e perché fino a poco tempo fa, venivano consegnate ad un marito che non avevano scelto.
Noi siamo rimasti legati a schemi comportamentali che non abbiamo il coraggio di mettere in discussione.
Allora, ho cercato di darvi uno spunto per celebrare la Pasqua come eliminazione di scorie che ci portiamo addosso e che ci sclerotizzano. E' una modalità un po' diversa di celebrare la Pasqua, ma per cambiare mentalità a volte ci vogliono secoli. Noi abbiamo preso certi riti pagani e li abbiamo trasferiti nel mondo cristiano.
Gesù ci ha liberati dalla religione, ma dal secondo e terzo secolo, il giudaismo è rientrato con tutte le modalità delle sue leggi e, quindi, con tutti i modelli sacrificali.
C'è una differenza enorme tra gli apostoli scelti da Gesù e mandati ad annunciare il Vangelo, cioè la gioia, e i sacerdoti che sono quelli che sacrificano alla divinità per eliminare la colpa del popolo ponendosi al di fuori di esso in atteggiamento sacrale e tabuato.
Gesù entra nella storia e si mischia con l'umanità e promette la gioia a chi è autentico.