26° INCONTRO DEL 23-04-2018 nella parrocchia di Santa Maria della Libera

E' necessario fare un approfondimento su come la Parola di Dio si incarna nella storia dove ci siamo anche noi, accolti dalla successione del tempo.

Siccome nella Sacra Scrittura ricorre l'espressione "Nella pienezza del tempo", bisogna coglierne il senso perché il tempo è una realtà che accoglie l'evento e l'essere, ma in se stesso non è.

Allora, il tempo è il contenitore che aspira ad accogliere la pienezza. Questo avviene quando la persona riesce a riempire la dimensione della storicità che è dentro di lei, cioè quella che la consustanzia, la radica, la mette nell'essere. Quindi, più la persona è radicata nell'essere, più diventa "pienezza del tempo".

Questo discorso serve per farci capire come il tempo, in quanto vuoto, aspiri a riempirsi e ciò avviene solo con l'accoglimento dell'Essere che è una dimensione che sfugge alla storicità che si sviluppa nel tempo caratterizzato dal non essere perché il tempo è un ente di ragione: non è nella sua oggettività, ma è in quanto noi lo pensiamo.  

Nella "pienezza del tempo" insorge una persona di cui raramente parliamo: Maria che genera il Figlio, Gesù Cristo e con Lui il vuoto del tempo viene riempito.

Comincia così la Kenosis, cioè l'annientamento dell'Essere di Dio che entra in contatto con il vuoto del tempo e lo riempie perché quelli che sono nella storia, cioè nel vuoto, possano riempirsi della pienezza dell'essere.

In effetti, il nostro essere si svolge come spalmato nel tempo, cioè su un binario inesistente. Questo ci metterebbe in una situazione di grosso disagio perché ci troveremmo ad essere nell'inconsistenza del tempo.

Nella "pienezza del tempo", dunque, si verifica un fatto nuovo: l'Essere, entrando in relazione con il vuoto del tempo, lo riempie di Sé. E' Maria che accoglie il Verbo eterno, fuori dal tempo e lo porta nel nostro vuoto. Questa è la Kenosis di Dio che scende nel non essere del tempo per dare a questo la pienezza per poter essere nell'essere.

Maria nel tempo è incinta e genera la realtà dell'Essere permanente. Questo ci apre ad una dimensione completamente diversa. Il parto avviene nel tempo, ma proietta il nato fuori dal tempo. Quando si dice "madre", inevitabilmente si prende contatto con la relazione primaria. "Madre" viene da "mater" che richiama la materia e la materia, essendo nel tempo, finisce col rimanere irretita dal tempo e, quindi, dal nulla. Per uscirne deve entrare nella relazione che è fuori del tempo e che si eternizza.

"In principio era il Verbo" ... (Gv. 1,1). Che significa "in principio"?

Quando ci siamo soffermati sul Vangelo di Giovanni, abbiamo commentato che "in principio", dal greco "en arkè", non significa "all'inizio del tempo", ma "nell'origine dell'Essere" c'è la relazione del Verbo con il Padre. Questa realtà eterna, per poter "eternizzare" tutto ciò che avviene nella storicità, ha bisogno di far insorgere la relazione intersoggettiva che si sottrae al tempo.

La "mater" stabilisce questa relazione.

Nella Kenosis c'è questa relazione nella storicità che dà l'opportunità di entrare nella relazione antonomastica. Si verifica, così, un capovolgimento talmente straordinario di cui noi non siamo consapevoli perché riduciamo la relazione alla spalmata sul tempo e pensiamo che la Relazione alla quale siamo chiamati, sia come le altre.

Dante, nel canto 33 del Paradiso, fa dire a S. Bernardo la preghiera a Maria: "Vergine madre, figlia del Tuo Figlio, umile ed alta più che creatura, termine fisso d'eterno consiglio"...

Dante era un teologo. Sul piano fantastico presenta l'inferno, il purgatorio e il paradiso, ma fondamentalmente, dice delle cose straordinarie la cui conclusione è: "E vidi pinta della stessa effige, l'Amor che move il sole e le altre stelle", cioè l'Essere che è prima delle stelle perché le muove, le origina. Dante si rende conto che la Realtà divina è dipinta della Sua stessa immagine perché può entrare in relazione con il Verbo eterno che è l'Essere divino.

Questa relazione eterna non riguarda solo Dante o Maria, ma ciascuno di noi, però siccome capita nella quotidianità, noi non l'arricchiamo della preziosità del divino.

Gesù disse: "Chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca (in relazione con Lui che è eterno)

a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità vi dico: non perderà la sua ricompensa" (Mt. 10,42) e "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt. 25,40),

Nel momento in cui  entro in relazione anche con l'ultimo della terra, io salto da un livello storico ad un livello sublime, divino e che è commentato da Gesù stesso quando, parlando a Marta, cerca di farle capire: "Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose" (Lc. 10,41), cioè: "Se non entri in relazione con la Relazione, tu resti assorbita nella storicità e la tua esistenza rimane precaria. Ma se stabilisci una relazione con me, tu passi in un'altra dimensione".

Bonhoeffer, in attesa di essere impiccato per ordine di Hitler, ringraziava Dio per avergli dato il tempo di prepararsi alla morte, assaporando la possibilità di ringraziare chi lo aveva messo in quelle condizioni che gli consentivano di poter morire tranquillamente.

Vi sto dicendo delle cose che se vengono assunte nella profondità, possono essere il punto di svolta della nostra esistenza allorché ci rendiamo conto che nessuno ci può deprivare della possibilità di porci in una relazione che ci abilita a superare tutte le categorie che restano nell'ambito della storicità.

Invece, le categorie storiche possono essere sacramento di salvezza se il soggetto ha in mano la chiave di lettura. Ecco, allora, il discorso della sacramentalità che non è l'acqua benedetta o altre cose, ma è l'incontro che ti porta alla relazione che ti mette su un piano completamente diverso e così si verifica un gioco d'amore per cui tu puoi entrare nella storia ed uscirne ed in tutto questo puoi provare il... solletico della sofferenza.

Questa dimensione richiede di essere assaporata nel silenzio e questo lo può fare ciascuno dentro di sé.

A volte lo si sperimenta quando ci si innamora. All'inizio si parla come un libro aperto per poi chiudersi nel silenzio perché ciascuno interiorizza l'altro nella propria identità e l'idioma più perfetto per esprimere questo è proprio il silenzio perché l'uno è talmente presente dentro l'altro  da esprimersi ciascuno nelle azioni dell'altro.

Quando Gesù dice di essere Lui la vite e noi i tralci, porta un'immagine storica, ma quello che vuole significare richiede una vita intera per coglierlo. Lui mette in evidenza che la linfa che circola nella vite è la stessa che circola nel tralcio che così porta frutti di vita eterna.

Come fa se sta nella precarietà del tempo? Porta frutti di vita eterna perché la dimensione esistitiva è la relazione con il Verbo. Quindi, quando il soggetto si impregna della capacità relazionale, questa diventa la ricchezza totale, la perla preziosa, il tesoro nascosto per cui uno vende tutto per comprarlo.

Ciò significa che tutto ciò che è avvolto nella categoria cronologica è funzionale sacramentalmente a quell'altra categoria. Quando sarò arrivato a questa, non lascio nulla qui, ma mi porto tutto dietro.

Quando Gesù risponde a Pietro che gli chiede: "Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito", dice: "In verità vi dico che non vi è nessuno che abbia lasciato casa, o fratelli, o sorelle, o madre, o padre, o figli, o campi per amor mio e per amore del vangelo, il quale ora, in questo tempo, non ne riceva cento volte tanto: case, fratelli, sorelle, madri, padri, figli, campi, insieme a persecuzioni e, nel secolo a venire, la vita eterna" (Mt 19,28-30).

Letto così, nella categoria storica, viene interpretato come il dover fare tanti sacrifici per poter poi avere la vita eterna. Ma Gesù intende dire: "Se hai colto l'essenza della relazione con me, ti accorgerai... dell'albero di corbezzolo che pianti, che innaffi e lo metti in relazione anche con il Creatore. Allora questa dimensione storica, precaria, limitata, si arricchisce dell'opportunità di entrare nell'eternità con tutto quello che fai per cui non perdi più un attimo della tua vita che è nel tempo, perché tutti gli attimi del tempo diventano istanti".

Gli attimi si inabissano nel nulla irreversibilmente generando angoscia. Se io riesco a rivestirli della preziosità dell'istante ("in sto", sto nell'essere della permanenza), allora gli attimi non mi corrodono più, ma vengono da me recuperati e messi nel salvadanaio del tesoro prezioso che dura per sempre.

Questa è una dimensione completamente diversa dal dover rinunciare a tutto per poi avere la vita eterna. Non è così. La vita eterna è proprio nell'essere stesso.

A Marta Gesù dice: "Di una cosa solo c'è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore che non le sarà tolta" (Lc 10,41), quindi che ha già, non che avrà dopo.

E un'altra volta dice: "Il Regno di Dio è già dentro di voi" (Lc 17,21)... "Io in voi, voi in me" (Gv 14,20)...

A casa provate a rileggere lentamente il 17° capitolo del Vangelo di Giovanni che è il discorso sublime, di altissima mistica che Gesù fa nell'ultima cena. Se lo si legge in chiave cronologica, non lo si capisce. Il Vangelo non si legge, si scrive, e la pagina deve essere la nostra pelle. Si scrive se io riesco a cogliere l'aspetto di una Persona che nella "pienezza del tempo" nasce da Maria la quale genera un Figlio che l'ha... generata nel tempo, come leggiamo nel canto di S. Bernardo e arrivo alla conclusione: "E vidi pinta della stessa effige l'Amor che move il sole e le altre stelle".

Particolarmente oggi con l'astrofisica siamo molto più portati ad alzare lo sguardo in alto andando oltre i droni e le stazioni spaziali, oltre la nostra galassia, oltre la realtà che noi percepiamo per cogliere l'aspetto di relazione che è una cosa abissalmente diversa anche se ha gli agganci e i radicamenti nella realtà storica.

Ecco perché Maria è importante: perché ospita l'Eterno nel tempo e dà a quelli che sono spalmati nel tempo, l'opportunità di fare il saltello verso l'Eterno.

La domanda è: "Credo io che ho questa opportunità?". Questa è la fede. Tutto il resto è fatto di parole che servono per stordire la persona che anziché cogliere la modalità per trasferire gli attimi in istante, cerca di coprire l'angoscia dell'attimo fuggente mediante i ritualismi e, quanto più il rito è complicato, più il soggetto è catturato nell'apparenza vistosa delle cerimonie per cui abbiamo fatto una liturgia che ha un'enorme ritualità, snellita un po' dopo il Concilio Vaticano II. Prima i pontificali duravano diverse ore e prevedevano una serie di movimenti prestabiliti che non davano l'opportunità di chiedersi: "Ma che stiamo facendo?".

Bisogna domandarsi, per esempio, che cosa significa l'incenso. L'incenso è un segno sacramentale che mette in evidenza come la realtà del tempo si consuma e la relazione (simboleggiata dal fumo) sale al cielo. Se non si coglie questo, è deviante usare l'incenso. Lo stesso vale quando si celebra la Messa senza concedersi il tempo di assaporare le parole di Gesù: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18,20), cioè riuniti in nome del Verbo che è la Relazione che mi fa sgusciare dal tempo, dalla quotidianità e, quindi, l'attimo non mi serve più perché diventa istante che mi consente di giocare d'amore in continuazione.

Quando Gesù dice: "Distruggete questo tempio ed io in tre giorni lo riedificherò" (Gv. 2,19) che vuole significare? Vuol dire: "Non mi fate nulla perché io resto nella mia intangibilità. Io sono una realtà altra e, pur essendo nella visibilità e nella precarietà del tempo, sono immerso in un'altra dimensione".

Gesù come fa a farcelo capire se non spalanchiamo la nostra mente e il nostro cuore e ci liberiamo dai vincoli che ci tengono attanagliati alla cronologia della storicità?

Dopo il discorso precedente, ora è più facile capire come entrare in relazione con Gesù Cristo che non viene a salvarci dai peccati, ma a toglierci da questa condizione peccaminosa, cioè dalla precarietà che genera l'angoscia totale. Gesù ci dice come uscirne pur rimanendo nella cronologia: "Voi siete nel mondo, ma non siete del mondo" (Gv 17,14).

Tutte queste frasi di Gesù che ho citate, sono Vangelo vivo che ci fa riflettere che ciascuno di noi sta in una condizione altamente privilegiata. Quando anche noi possiamo scegliere "la cosa migliore" come Maria di Betania? Quando lo vogliamo! Anche adesso e questo potrebbe rappresentare per noi "la pienezza del tempo".

Ma come si fa a strappare dagli attimi la ritualità non solo religiosa, ma anche del quotidiano per inserirla nell'istante? Bisogna averne consapevolezza? O vivendo in unione con Cristo la cosa avviene in automatico? Qualche volta capita che avviene in automatico. Il mistico è quello capace di contemplare una formica per una mattinata intera; può soffermarsi a riflettere come noi ci stupiamo di fronte ad un robot e non davanti alle formiche perché non sappiamo le capacità che hanno di trasmettersi dei segnali, di procurarsi il cibo, di sapere dove andare...

Ritornando al discorso di prima, può capitare, allora, di arrivarci quasi d'incanto e, in genere, succede

alle persone che hanno la lucidità di cogliere l'aspetto di preziosità che hanno dentro di loro.

Qualche volta, le persone nel contemplare un bambino che nasce, colgono che esiste una legge per cui l'aspetto relazionale, l'aspetto del piacere, l'aspetto della procreazione, l'aspetto dello sviluppo di un bambino, l'aspetto della dimensione con l'Eterno, sono collegati e naturali.

Noi siamo stati talmente abili a rivestire di negatività le cose che sono intrinsecamente piacevoli e divine per cui pare che anche il mangiare con gusto sia un... peccato di gola! Invece, bisognerebbe invitare le persone a fermarsi e a pensare alla capacità che hanno le papille gustative di trasmettere al cervello i sapori differenziati.

A Dio si può arrivare per mille vie. Ci può essere una via traumatica, una via di incontro, una via di silenzio, una via di sofferenza, ecc.

Noi non ci abbandoniamo con meraviglia a quello che la vita ci offre. Siamo diventati talmente pretenziosi che trasferiamo la nostra mentalità anche alla divinità. Vogliamo un Dio così come abbiamo prescritto che sia. Questa è una dimensione che nulla ha a che fare con la relazione profonda con Dio che è sceso tra gli uomini per dare loro l'opportunità di entrare nel divino.

Ecco perché nella pace della propria interiorità, nell'intimo del cuore - come dice Viktor Frankl nel libro "Dio nell'inconscio" - ci viene data l'opportunità, tramite la vita che si diffonde e transita di generazione in generazione fino a quando, non lo sappiamo, di collegare l'esperienza storica con quella metastorica. Il tempo è un procedere permanentemente da una dimensione chimica, botanica, animale, di homo sapiens, fino all'uomo del futuro che non sappiamo cosa sarà e la disponibilità ad aprirci al nuovo è fondamentale per poter dare allo Spirito del Verbo la proiezione verso ciò che sarà l'umanità. Noi siamo realtà che possono fungere da anelli per collegare le generazioni precedenti con quelle del futuro. Se abbiamo un'esperienza di questo genere, la possiamo trasmettere, cioè mettere al di là.

Quando una persona si incontra con lo sguardo di un altro e sa che può toccare il suo spirito attraverso l'occhio (che è fatto prevalentemente di acqua), ha l'opportunità di costruire una relazione. Ma lo sguardo che non ha la capacità di "saltare" non serve. Infatti, puoi vedere una persona e coglierne la manifestazione del divino, ma puoi anche ridurla ad immagine pornografica.

Come si fa a liberarsi dalle catene che ci vengono messe prima ancora che cominciamo ad accorgercene?

Questi momenti di riflessione possono servire prima per sciogliere le proprie catene e poi per aiutare qualcun altro a liberarsi. In questo periodo in cui sorgono numerose le insicurezze, c'è maggior bisogno di aggrapparsi ai punti fissi e le religioni si presentano all'umanità con la pretesa di dare delle risposte esatte. Quanto più fanno questo, tanto meno le persone hanno l'opportunità di incamminarsi per cercare nella profondità del proprio essere, la ricchezza della fede.

Vi ho consegnato una bella dose di contenuti su cui riflettere.

S. Paolo dice: "Sia che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto alla gloria di Dio" (1 Co 10,31) e anche: "Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me" (Ga 2,20).

Ma nella realtà di oggi, come si fa a difendersi dall'applicazione sconsiderata della tecnologia?

Gesù disse: "Senza di me non potete far nulla" (Gv. 15,5). Se tu pensi di opporti da solo a questo processo che ti cattura e ti tritura, hai difficoltà. La scelta di Gesù non ti proietta fuori del mondo, ma pur rimanendo nel mondo, ti fa diventare lievito nella pasta. Questo significa che tu devi far fermentare quelli che stanno accanto a te in modo tale da non trovarti isolato.

Molti genitori sono preoccupati perché i loro figli non giocano più perché stanno sul whatsapp tutto il giorno, anche a scuola. Poi diventano aggressivi e sorge il fenomeno del bullismo che, peraltro, sta anche tra noi quando non abbiamo la morbidezza di entrare in contatto con l'altro in quanto altro.

Ognuno di noi è un mondo, è un universo. Il nostro cervello fa circa trecento trilioni di operazioni in un giorno. Queste operazioni, attraverso gli anni, entrano a far parte del nostro vissuto. Che un altro entri a contatto con questa esperienza è molto difficile, ma se abbiamo la morbidezza di farlo avvenire, ciascuno si arricchisce dell'esperienza dell'altro.

Non avevo preparato alcun discorso per stasera. Si può parlare se si ha un contenuto. L'improvvisazione non si può... improvvisare. Se uno vive, vive, ma se si deve preparare per vivere, non vive. Gesù non ha mai scritto né fatto conferenze, però ha vissuto. Questo è il Vangelo.