27° INCONTRO DEL 24-04-2017

 
Vanna, che veniva sempre ai nostri incontri, è stata accolta nell'Aldilà il giorno di Pasqua. Per chi va nell'Aldilà, il tempo non serve più perché il tempo è la misura del movimento. Se non c'è più movimento, non c'è più tempo. L'eternità, quindi, non va intesa come un tempo interminabile, ma uno stato d'essere che non è quello della progressione, ma della stazione.
Si può vivere il tempo cercando, anche quaggiù, di porsene fuori? Dovremmo cercare di immettere nelle nostre categorie lo spazio che ha curvature. Provate per un attimo a considerare quella parete che dista da me tot metri. Incurvate questo spazio che mi separa dalla parete ed io mi troverò nella parete. Allora, se lo spazio non lo contemplo nella linearità, ma nell'ondulazione, io posso considerare annientato questo spazio ondulato e, quindi, unisco la cresta con la cresta per cui mi trovo, in un attimo, in uno spazio che per me diventa incommensurabile con una velocità di relazioni di gran lunga maggiore. E' più o meno come per il pensiero: posso non muovermi da qui e trovarmi col pensiero in un altro posto lontano.
Dunque, se colgo la dimensione dello spazio curvato ed elimino le curve, io unisco le creste dello spazio ed ho un tempo completamente diverso.
Allora, dobbiamo cercare di vivere la nostra vita in allegria, in particolare durante la Messa, vedere facce... appese mi mortifica.
La morte è insita nella vita. Vivere significa muoversi. Il movimento è radice della vita, è morire mentre... si vive. Per il fatto che muoio, sto vivendo. Se le mie cellule non morissero, non ne nascerebbero di nuove e, quindi, io non vivrei. Il 98% degli atomi che ci costituisce in un anno cambia.
Allora, la morte è un inno alla vita, è una cosa... allegra!
Pina ha scritto un saluto alla nostra amica Vanna durante i suoi funerali:
"Ciao Vanna
Gli amici sono in chiesa: c’è il funerale di Vanna.
Impedita ad andare, sono col pensiero insieme a loro.
Ciao Vanna, ti sentiamo vicina.
Semplice e dolce, già nel contingente eri parte di noi.
Tu solidale, sorridente e serena, già forte nel caduco, cullata da certezze.
Oggi sei libera da vincoli e schemi.
Sei qui tra noi con radioso sorriso di eterna presenza".
"Sei qui tra noi"... Tenete presente che io di voi vedo solo l'esterno, ma la vostra identità resta nell'invisibilità.
La cosa che più ci può interessare della morte di Vanna e della vita nostra, è l'identità che resta tale.
Nel 50° anniversario della morte di don Lorenzo Milani, il Papa ha fatto una recensione al libro "Opera omnia" che raccoglie tutti gli scritti del curato di Barbiana.
Don Lorenzo Milani, dopo screzi con la Curia di Firenze, fu mandato nel minuscolo paese di montagna di Barbiana, nel Mugello.
Il suo libro "Lettera ad una professoressa" all'epoca fece un po' di scalpore nella scuola italiana. Lui diceva che per poter avere una società democratica, bisogna instaurare un rapporto osmotico che avviene per mezzo della comunicazione attraverso il linguaggio. La conoscenza dei linguaggi multipli aiuta i soggetti a porsi in una condizione di parità e, quindi, di democraticità.
A Barbiana, don Milani recuperò quelli che erano stati emarginati dalla scuola al punto tale da mettere in crisi la struttura istituzionale della scuola stessa che in quanto tale, è sempre lenta ad aggiornarsi. Ancora oggi, epoca in cui si viaggia ad una velocità supersonica, la scuola richiede lunghi tempi di attesa.
In questo momento storico, è difficile adattarsi. Mentre la scuola prepara la società per il futuro, il futuro contemplato è intanto già cambiato.
Lo stesso avviene per il nostro tentativo di trasferire il Vangelo all'uomo contemporaneo il quale non sa più dove collocarsi e come riferirsi all'altro per cui l'omogeneità comunicativa finisce per essere sempre più difficile perché le persone stentano ad appropriarsi del proprio linguaggio creativo, unico ed irrepetibile per arricchire la società.
L'espressione normalmente è resa difficile dalla mancanza di accoglienza. Oggi, quando si parla di accoglienza, ci si riferisce prevalentemente ai migranti come se fosse una pratica buonista.
Come primo concetto, dobbiamo soffermarci sul fatto che la vita, in quanto tale, è caratterizzata dall'accoglienza.
Noi nasciamo perché siamo accolti. Se non ci fosse l'accoglienza del pene e dello sperma nell'utero, non comincerebbe la vita. Se non ci fosse l'accoglienza del germe che poi diventa embrione e infine feto nel liquido amniotico che si sagoma a seconda della crescita, non ci potrebbero essere realtà in processo evolutivo. Se non ci fosse l'accoglienza nel momento in cui un nuovo essere viene alla luce, non ci sarebbe l'umanità...
L'umanità sorge da questo che noi, purtroppo, per lunghissimi secoli, abbiamo connotato di negatività e di peccaminosità e che, invece, è l'origine del dono più bello che è la vita.
Dunque, la vita è accoglienza. Se cancellate l'accoglienza, cessa la vita.
Questo processo di accoglienza diventa permanente perché se poi il neonato non viene accolto da un seno che lo nutre, non può crescere, non può vivere.
Ma quando il concetto di accoglienza viene mediato dai mass media, è presentato come problematicità davanti alla quale insorge il meccanismo difensivo: "Si può accogliere, ma fino ad un certo punto...".
E il "punto" chi lo stabilisce? Quello che non vuole accogliere perché la realtà che si propone lo fa nella sua dimensione dell'essere. Come il liquido amniotico non costringe il feto, ma si allarga per accoglierlo, così il neonato passa progressivamente dall'essere infante (che non parla) ad essere parlante. Poi comincia piano piano ad esprimere la propria identità e questa è l'acquisizione del proprio idioma che scaturisce dalla percezione e dall'appercezione.
La realtà umana è una realtà ricettiva per cui, essendo uno accolto, diventa accogliente a partire proprio dall'esperienza della percezione e dell'appercezione. Da queste cominciano le fasi dell'intuire, del capire e del comprendere per poter entrare nella relazione intersoggettiva.
Così si costituiscono le società fatte da individui che si personalizzano ed entrano in relazione.
La socializzazione si organizza, ma qualche volta, lo fa a danno degli altri.
Allora, mentre la vita è accoglienza, quando c'è quest'ampliamento dell'accoglienza del singolo nei confronti di altri singoli che diventano società, questa entra in fase di prepotenza nei confronti delle altre società e ciò corrisponde alla non accoglienza.
Quando si verifica questo, abbiamo una società prevalente ed una società soccombente. La prima detiene il potere a danno dell'altra.
Il discorso dell'accoglienza passa dalla realtà singola non evoluta nella dimensione naturale, alla realtà politica che si chiude nelle mura e propone la legge della guerra a chi è più debole.
Questa è una dimensione successiva che investe le nazioni del benessere che sono la causa dell'enorme bisogno in cui versano altre nazioni, tanto da dare luogo ad un'emigrazione di massa.
A questa, subentra, poi, una terza dimensione sulla quale ci dobbiamo soffermare perché l'accoglienza da parte nostra non è una facoltà del singolo che esercita la bontà come elemento opzionale, ma è una necessità di restituzione a quelli che sono stati deprivati della possibilità di vivere antropologicamente in dignità. Invece, quelli che si chiamano "cristiani" finiscono con l'abbrutirsi nelle riflessioni di tipo ritualistico-religioso senza andare alla radice degli scompensi che esistono nella società e, qualche volta, accettano anche la collaborazione con il più potente per tenere in uno stato di schiavitù quelli che sono soccombenti.
A questo punto, comincia un discorso di tipo reattivo: "Che cosa possiamo fare?". L'etica è la risposta del proprio idioma laddove si sono verificate delle defraudazioni, delle ruberie reciproche.
Noi non accogliamo la ricchezza che abbiamo ricevuto gratuitamente perché siamo stati accolti, perché qualcuno ha costruito la sedia sulla quale ci troviamo in questo momento, perché tutto quello di cui fruiamo lo abbiamo perché altre persone ci hanno accolti in qualche modo...
Dal punto di vista ontologico, siamo tutti nati per combinazione. Nessuno pensa mai a questo... Noi ci siamo senza avere alcuna giustificazione eziologica precisa. Se siamo quello che siamo è perché si sono concentrate una serie interminabile di situazioni che hanno occasionato la possibilità di causare una vita incipiente che resta unica e perciò preziosa.
Queste cose non vanno ascoltate solo con le orecchie senza farle entrare nella dimensione del cuore da cui provengono, poi, gli idiomi, cioè i linguaggi, le espressioni di ciò che si è accolto perché noi essendo accolti, accogliamo e lo facciamo prima di tutto con noi stessi dando a quelle parti di noi la possibilità di svilupparsi progressivamente, ma se ci mettiamo in un atteggiamento ostile nei confronti di noi stessi, ci dividiamo dall'orientamento naturale che è quello di procedere verso la libertà e mummifichiamo le facoltà relazionali che sono quelle del sorriso, della gioia, dell'apertura alla vita, del movimento, ecc. ...
Da quanto tempo non giocate? C'è anche il gioco d'amore senza il quale non c'è amore, non c'è movimento, non c'è vita.
"A - more" significa "senza costume". Noi usiamo spesso la parola "re-more" in cui il "re" è iterativo e significa "di nuovo", quindi "ricostumato".
Per stabilire un rapporto di accoglienza ci vuole amore prima verso le parti che ci costituiscono. Se le accogliamo, possiamo anche proporle agli altri che supponiamo siano accoglienti.
Se, invece, non ci accogliamo, proiettiamo sugli altri la non accoglienza per cui ci depriviamo dell'espressione autentica e, quindi, rimaniamo nella nostra solitudine e ci "desoliamo".
Dal momento che abbiamo già approfondito vari punti, dobbiamo chiederci: "Sono arrivato ad essere più predisposto ad accogliermi per potermi far accogliere ed accogliere, a mia volta, quelli che si propongono a me?".
Allora, vedete che dall'accoglienza delle parti del proprio essere sia dal punto di vista fisico, sia dal punto di vista sociale, professionale, ecc., sorge la necessità di esprimersi perché la persona è una realtà che amplia, che espande il suono, lo svolge, lo allarga. Se non c'è questa dimensione che va verso l'infinito, la persona non ha la possibilità di camminare verso la felicità che richiede necessariamente l'infinito come essere nella sua totalità e l'essere nella sua totalità non ha negatività incluse.
Se è così, non ci può essere il non essere che limita l'essere, ma l'essere che si espande fino all'infinito, senza limiti perché per "limite" non si intende la chiusura, ma il punto di partenza verso. E' propellente, non limitante.
Insomma, ognuno di noi deve avere la possibilità di urlare ai quattro venti che c'è una vita dentro di noi che richiede l'esplosione, non della guerra, ma dell'apertura. La guerra è l'elemento opposto all'accoglienza.
La realtà così com'è, purtroppo, è assoggettata a condizionamenti che partono già dall'inizio della nostra esperienza esistitiva. Quando nasciamo, cominciamo a ricevere una quantità di bombardamenti che deformano la naturalità per cui poi cominciamo a bisticciare con noi stessi e neghiamo a noi ciò che siamo.
Se osservate gli animali, vi accorgete che hanno dei comportamenti molto più vicini alla naturalità e che la stessa violenza, a volte, è indice di passionalità. E quanta difesa le madri hanno nei confronti dei loro cuccioli! E' un'altra dimensione che pure è dovuta all'amore e che serve per la custodia delle razze.
Le rose, poi, hanno le ultime foglioline di colore rosso perché contengono la natamicina, un antibiotico naturale contro i parassiti... E' un modello dinamico che cogliamo nella natura.
Per quanto riguarda l'umanità, noi nasciamo con potenzialità che sono enormi, ma che poi vengono progressivamente inibite, inceppate, bloccate, tanto da produrre la frustrazione da cui scaturisce l'aggressività che ci fa diventare cattivi e, quindi, non ci esprimiamo più e non siamo più liberi di essere noi stessi. Ci educhiamo, cioè, a non essere educati perché l'educazione è il mettere fuori le proprie ricchezze. Noi, quindi, diciamo che siamo "educati" quando le reprimiamo.
Questi punti sono essenziali nel nostro quotidiano. Il Vangelo non è una cosa che viaggia su un binario parallelo, ma entra proprio nel vissuto, nella concretezza.
E' nella nostra testa che dobbiamo trovare la risposta alla domanda: "Che cosa posso fare io, prima di tutto dentro di me? Sono disposto ad accogliermi nella mia totalità non intesa nella staticità, ma nella dinamicità?".
Dunque, io devo accogliermi come sono: in fieri, in divenire, in cammino... Non posso accettarmi nella staticità. Come sarò domani, non lo posso decidere ora.
Gesù disse: "Non giurate affatto". Non posso giurare perché se lo faccio e mi fisso, mi limito il procedere.
Per "cambiamento" non dobbiamo riferirci solo a quello della realtà interiore, ma ad un processo che investe la persona nella sua totalità, quindi, nella dimensione mentale, psicologica, affettiva, sociale, politica, professionale, ecc. perché se uno fa la stessa cosa per una vita intera, si atrofizza.
La comunità dei preti sposati di Napoli, giovedì santo ha redatto un documento che risulta essere attinente a quello che abbiamo detto stasera:
"Signore, noi siamo nati dall'amore e non possiamo vivere senza amare ed essere amati: insegnaci ad amare come fece il tuo figlio Gesù.
AMARE è essere capaci di dire sempre: "Io credo in te", anche quando non si riescono a vedere segni positivi. E' saper dire: "So che puoi essere migliore, so quanta bellezza ancora inespressa c'è in te, io non vedo solo cosa sei, ma anche cosa puoi essere".
Aiutaci, Signore, a guardarci negli occhi e a dirci più spesso: "Io credo in te".
AMARE è continuare a coltivare la nostra e l'altrui libertà. E' stare dritti sulle nostre gambe e lasciare che l'altro resti dritto sulle sue. Il vero amore non può generare dipendenza, non può mai diventare pretesa. il vero amore non si identifica con il bisogno di essere amati.
AMARE è saper, al momento opportuno, "deporre le vesti", gli scudi del perbenismo, le maschere che ci siamo cuciti addosso da una vita e rivestirci del "grembiule" del servizio reciproco.
Ci sono ancora troppi ostacoli perché ci possa essere una "lavanda dei piedi", un ingresso tuo nelle vesti di un amico nella parte che consideriamo più "sporca", nella nostra vita o un tuo ingresso nei meandri più scuri della sua attraverso di noi".
I preti sposati sono usciti da una dimensione burocraticamente descritta. A Napoli ce ne sono più di 100, usciti alla chetichella come persone che non hanno il diritto di proclamarsi innamorati di una donna. Può sempre capitare di innamorarsi... Se capita, è l'esperienza più profonda che l'uomo possa fare. Per questo motivo, nel Cantico dei cantici, l'amore di Dio per l'umanità viene paragonato all'amore di coppia.
L'amore è accoglienza. La relazione tra madre e figlio non passa per il comportamento: è una relazione che prescinde da esso. Anche se il figlio è un assassino, per la madre rimane figlio.
Il rapporto è episodico. La relazione è soggettiva.
Nel film "Dead man walking" (Condannato a morte), una suora riesce ad accogliere uno spietato assassino e ad accompagnarlo nei suoi ultimi giorni. Il giovane si converte.
Anche di S. Caterina da Siena, dottore della Chiesa, sappiamo che accolse sul suo seno un condannato a morte dicendo che attraverso quel gesto lei sentiva nell'odore del sangue dell'uomo che sarebbe stato versato di lì a poco, l'odore del sangue di Gesù sul Golgota.
Si possono anche fare barzellette sul seno accogliente di S. Caterina, se si vede solo quello, ma se uno coglie l'essenzialità della vita, deve poter vedere nelle cellule del corpo proprio e dell'altro, l'impronta del divino. Noi siamo talmente deformati da non cogliere più la divinizzazione della materia nella quale c'è la madre accogliente (la madre terra) che riceve il seme e genera la vita visibile.
Questo processo deve essere interiorizzato al punto tale da farci mettere in atteggiamento fruitivo della nostra fisicità, della nostra materialità per poter cogliere la spiritualità nella materialità.
La stessa sessualità va vista in una dimensione molto più sacramentale perché non è una fruizione episodica, ma quando una persona vive una relazione profonda, si strappa dal limite cronologico per entrare in una sorta di eternità, un'anticipazione della vita eterna. Questa, dunque, avviene nell'esperienza dell'amore che non prende solo una parte del soggetto.
S. Caterina da Siena, stringendo sul seno il condannato a morte, avvertì in lui un'altra realtà con la quale poter instaurare una relazione che andava oltre la morte. Questa è un'esperienza di vita e di vita eterna.
Se una persona ha avuto esperienze di questo tipo, allora sa che cos'è l'amore. L'esperienza orgasmica, poi, ti fa uscire da te e ti fa entrare nell'altro e viceversa nell'accoglienza reciproca. Ma ci sono una quantità di matrimoni che non hanno nulla a che vedere con il matrimonio inteso come fusione di mente, di psiche, di progetto, di vita, di esperienza. Solo così si diventa un tutt'uno. Il soggetto esce dalla solitudine per entrare in una consolazione permanente. Poi, puoi andare anche lontano, ma non è importante l'ubicazione, ma la collocazione.
La mistica è una relazione misteriosa che non passa solo attraverso la percezione, ma recupera il contenuto sacramentale per cui la realtà apparente è solamente punto di partenza per andare all'essenziale. Ecco perché la relazione è del soggetto, che non si vede perché la realtà della persona resta sempre invisibile, intangibile, non percepibile e, tuttavia, quella è la sagoma portante di una sagoma apparente.
E' possibile mettersi in relazione emotiva con un altro a prescindere dalla sessualità? Sessualità non vuol dire genitalità, ma quando io mi metto in relazione con te, lo faccio con la mia sessualità e tu fai lo stesso, ma non con la genitalità. La tua commozione non esclude il tuo essere con la caratteristica tua propria che non può essere asessuata. Allora, se tu distingui la sessualità dalla genitalità, ogni relazione è sempre sessuata.
L'esperienza psico-affettiva è strettamente personale e può essere espressa se trova accoglienza in una persona che ne ha la ricettività. Altrimenti, il fraintendimento è facilissimo perché la deformazione interpretativa è talmente comune nella mentalità occidentale perché in essa non è contemplato il linguaggio corporeo. In India, invece, per rilassarsi, invece di prendere un caffè, si fanno i massaggi. Da noi questo non esiste, non abbiamo la cultura della corporeità. Adesso, timidamente, si sta facendo strada lo yoga, la bioenergia, ecc., ma con una mentalità che fa a pugni con quella diffusa per cui, purtroppo, si verificano una quantità di deformazioni comportamentali legate alla scarsa maturazione e allo scarso equilibrio perché solo se una persona ha una libertà interiore, può manifestarla.
E' difficile entrare nell'intimo di una persona che può essere interpretato in un modo o in un altro. Se una persona, poi, si trova dinanzi ad un giudice che ha le sue nevrosi (perché più si è legati alla legge, più si diventa frustrati e aggressivi), è difficile che questi possa capirla per cui spesso diventa violento contro di lei.