Cineforum: film "Una scomoda verità 2 - Una minaccia globale
GIULIANA MARINO (scheda introduttiva alla visione del film):
"Il pericolo non viene da quello che non conosciamo, ma da quello che crediamo sia vero e invece non lo è". (M. Twain)
"L'era dei rinvii, delle mezze misure, degli espedienti ingannevolmente consolatori, dei ritardi, è da considerarsi chiusa. Ora ha inizio il periodo delle azioni che producono delle conseguenze". (W. Churchill)
"Il riscaldamento globale del pianeta oggi è diventato più che un tema politico, un tema morale. Permettere che accada una cosa del genere è profondamente immorale. Oggi sento che potremmo perdere tutto: che quello che per noi è scontato potrebbe non esserlo per i nostri figli". (Al Gore)
Per coloro che non hanno potuto assistere alla prima edizione del documentario di Al Gore, ma anche per coloro che lo hanno visto e volessero ricapitolati in una sintesi finale i contenuti che ne sono emersi, traccerò alcune linee essenziali per inquadrare la figura di Al Gore e il significato di ciò che lui ha fatto per noi. Alla scorsa proiezione, presentandovi il primo film, ricordo di aver usato la parola "eroe" parlando a Al Gore: non c'era enfasi né retorica nell'uso di questo termine, perché, a mio avviso, chi si dimostra capace di dedicare, come in questo caso, tutto il tempo e le energie della sua vita ad una causa che non ha certo nulla a che fare con interessi personali, sfidando tante difficoltà e situazioni, appunto, "scomode", come l'indifferenza o la diffidenza del pubblico e soprattutto il logorio dello scontro con i propri oppositori, se non è un eroe, quanto meno si può considerare un "apostolo" nel senso etimologico del termine: uno che è stato mandato per ogni dove e si dedica con ardore all'affermazione e alla diffusione di un'idea, una dottrina, una causa. In questo senso Gore è stato senz'altro l'apostolo infaticabile dell'informazione e dell'avvertimento delle diverse comunità nazionali in relazione al pericolo che il pianeta corre nel caso del protrarsi di pratiche inquinanti e distruttive, l'apostolo di una divulgazione coraggiosa e appassionata delle conoscenze scientifiche esatte, capaci di misurare, descrivere, documentare e monitorare il fenomeno del riscaldamento globale che è la conseguenza inevitabile di quelle pratiche. Ed è, a maggior ragione, meritevole di ammirazione perché non è stato mandato: si è mandato da solo!...
L'analisi di Gore, nella sua lucidità, è difficile da confutare. Stiamo assistendo alla collisione fra la nostra civiltà e la Terra e sono 3 i fattori responsabili di questa collisione.
Il primo è l'aumento della popolazione, il secondo fattore è la grandiosa rivoluzione scientifica e tecnologica che, possiamo dire, ha apparentemente ampliato in modo esponenziale il nostro potere sulla Terra e sui fenomeni naturali ed è stata una benedizione per i vantaggi che abbiamo saputo trarne in campi come la medicina e le comunicazioni; oggi, tuttavia, dopo aver conquistato tanto potere, dobbiamo assumerci la responsabilità di pensare alle conseguenze di questo abnorme sviluppo tecnologico, che si possono riassumere sostanzialmente nell'impossibilità di esercitare un reale controllo sui suoi effetti. In particolare, si può osservare la veridicità di questa formula:
Vecchie abitudini + vecchie tecnologie hanno conseguenze prevedibili
Vecchie abitudini (difficili da cambiare) + nuove tecnologie possono avere conseguenze gravi e impreviste (cfr. la nuova tecnologia in campo bellico, fatta di bombe atomiche e di gas letali, studiati apposta per ottenere una distruttività totale, ma vanno tenute presenti anche le nuove tecnologie in campo agricolo e nello sfruttamento della terra per altre risorse).
Gore fa osservare che le tecnologie sono spesso più grandi degli esseri umani: messe tutte insieme, fanno di noi una sorta di "nuova forza della natura" e, giustamente, ci ricorda che anche questo è un problema politico. Commettere degli errori nei riguardi della natura a partire da tali tecnologie super- avanzate, ma, proprio per lo stesso motivo, anche molto difficili da controllare, può generare un problema serio e questo problema è di natura politica, a patto che nel termine "politico" sia presente l'originaria imprescindibile dimensione "etica". (Sono questioni che interpellano tutti, per cui l'azione politica che deve rispondere ad esse non può più circoscriversi alla gestione di un potere o alle sue necessità). Ciò implica che, di fronte alla necessità di riparare i guasti prodotti all'ambiente naturale dal complesso di queste super-tecnologie e dalle loro conseguenze, bisogna sapersi assumere realisticamente e coraggiosamente le responsabilità corrispondenti al rango e al ruolo che si ricopre nell'ecumene del pianeta, nel pieno riconoscimento dei propri "storici" interventi individuali, sul piano industriale, bellico, dello sfruttamento agricolo e del suolo, della produzione di energia, etc....
Ad esempio, diventa chiaro che, nella definizione del contributo dei singoli paesi al riscaldamento globale, Stati Uniti ed Europa abbiano le percentuali più alte d'incidenza rispetto a Cina, Giappone, Medio oriente, Africa, Sud America e Australia, dunque da un punto di vista politico, è più che giusto che si assumano la responsabilità conforme al loro ruolo "storico" nel processo.
"Se nei secoli passati generazioni intere hanno commesso degli errori, noi dobbiamo rimediare" - dice Al Gore - "Non possiamo permetterci di aspettare e sbagliare ancora".
Paradossalmente, invece, la mentalità emergente negli Stati Uniti, che non possono negare quel loro ruolo, rappresenta appunto:
Il terzo ed ultimo fattore che ha trasformato il nostro rapporto con la Terra, rompendone ogni equilibrio, e che potremmo definire "fattore inerzia" è esemplificato efficacemente da Gore col cartone animato della rana e del suo diverso comportamento nelle due situazioni diverse: del tuffo nella pentola di acqua già calda, da cui fugge con un guizzo, istintivamente, per mettersi in salvo, e del suo incredibile indugiare nella pentola nella quale l’acqua sia stata riscaldata poco per volta, rivelante l’autodistruttività del suo adattamento progressivo, pur nella sofferenza. In questo secondo caso Gore fa salvare la sua rana dall’intervento di una mano umana, che sottrae la rana al suo destino di morte togliendola dalla pentola.
Secondo Gore, il nostro sistema nervoso collettivo è come quello della rana: serve una scossa improvvisa perché ci rendiamo conto del pericolo; se ci sembra graduale, anche se sta avvenendo velocemente, siamo capaci di restare seduti, senza avvertire quel pericolo, né reagire .
Il terzo fattore, pertanto, culminante in un comportamento d’inerzia, può essere facilmente identificato in un tenace attaccamento alle proprie abitudini e in una difficoltà ad uscire dai propri schemi mentali ("Sarà difficile - ammette Gore - abbandonare modelli di comportamento e tecnologie su cui abbiamo sempre fatto affidamento, ma il rischio è quello di andare incontro a delle conseguenze inaccettabili") e - aggiungo io - difficoltà ad uscire massimamente dalle logiche del pensiero lineare, a fronte di un pensiero sistemico, assai più scomodo, perché ci costringe a immaginare e a prendere atto continuamente che gli effetti della nostra azione storicamente devastante nei riguardi dell’ambiente, si possono cogliere, il più delle volte, a grandissime distanze da noi, dai nostri confini geografici, e magari a distanza di tempo, perché innescano una complessa trama di cause-effetti che non saranno mai interamente ripercorribili da noi e che hanno a che vedere appunto con la natura "sistemica" del mondo a cui apparteniamo.
Ci sono 3 IDEE SBAGLIATE SUL RISCALDAMENTO GLOBALE:
1) Il presunto disaccordo fra gli scienziati sul fatto che il fenomeno esista davvero, che è una pura invenzione divulgata deliberatamente da un piccolo gruppo di persone…
"IL DUBBIO E’ IL PRODOTTO DA VENDERE" potrebbe essere lo slogan di questa strategia e infatti si vuole confondere il pubblico su ciò che deve o non deve fare; lo scopo è far arrivare la gente a dirsi "Non sappiamo se il problema esista oppure no" e questa è la premessa migliore perché la gente si senta confusa. In America è stata esercitata una pressione più che macroscopica sugli scienziati che si stavano incaricando di verificare la veridicità della teoria del riscaldamento globale e sul loro lavoro. Ci sono stati scienziati perseguitati, ridicolizzati, privati del loro lavoro, del loro stipendio semplicemente perché quello che stavano scoprendo svelava "una verità scomoda" che non rinunciavano a sostenere. In definitiva la difficoltà principale all’affermazione della verità, in questo caso, l’ha sintetizzata molto bene Upton Sinclair nella sua celebre frase: "E’ difficile far comprendere qualcosa a un uomo quando il suo stipendio dipende proprio da questo suo non riuscire a capire". Quanti soggetti sociali , d’altronde, impegnati proprio in quelle attività economiche strutturate ormai in modo da danneggiare, a lungo andare, il pianeta, avranno difficoltà ad accettare in linea di principio e nelle sue conseguenti risposte di politica ambientalistica, quella scomoda verità di cui stiamo parlando? Quando Al Gore presentò per la prima volta al Congresso degli Stati Uniti le conclusioni del suo Maestro Revelle, con l’intento di apprestare al governo del suo paese una strumentazione esaustiva ed efficiente, sotto il profilo del bagaglio informativo e della raccolta-dati, che potesse essere utilizzata come una vera e propria "macchina da guerra" per combattere il fenomeno del riscaldamento globale, era convinto di dire cose tali da suscitare senza alcun dubbio un allarme responsabile nei suoi ascoltatori; ma rimase invece profondamente deluso e sorpreso della reazione: "Avevo una grande fiducia nel sistema democratico e nel governo" - confessa Gore - e credevo che questo problema sarebbe apparso abbastanza urgente da provocare un immediato interessamento da parte del congresso; pensavo che tutti ne sarebbero rimasti colpiti e invece… no". (…) "E’ molto frustrante per me cercare di comunicare, convincere e spiegare con parole sempre più chiare che noi siamo ancora i maggiori responsabili di ciò che accade". (…) "Se un tema non è prioritario per i loro elettori, i politici lo ignorano senza remore, dicono: "Beh ci penseremo domani".
2) La seconda idea sbagliata è la convinzione che si debba scegliere fra economia e ambiente. Molti pensano di sì. Questa situazione di falsa possibilità di scelta è ben sintetizzata da una vignetta che Gore utilizza spesso nelle sue conferenze itineranti, raffigurante una bilancia contenente in un piatto una piramide di lingotti d’oro e nell’altro piatto il pianeta Terra. Questa vignetta può equivalere a una riedizione americana del famoso gioco della torre che pone il quesito "Cosa salveresti, e a cosa rinunceresti?". Ma è mai possibile rinunciare alla Terra? Anzitutto se non abbiamo un pianeta… allora non abbiamo niente.
In secondo luogo, se facciamo la cosa giusta, potremo creare benessere e tanto lavoro… Fare la cosa giusta significherà progredire.
3) La terza ed ultima idea sbagliata consiste nel pensare che questo problema è, sì, reale, ma che forse è troppo grosso per risolverlo. "Ci sono persone che preferiscono tirare dritto per paura di soffrire nel guardare - sostiene Gore - piuttosto che fermarsi e fare qualcosa per risolvere il problema. In realtà sappiamo già tutto quello che bisogna sapere per essere in grado di risolvere definitivamente questo problema. E dobbiamo fare molte cose non una soltanto:
* Adottare apparecchi elettrici più efficienti, riducendo, così, sostanze inquinanti che altrimenti invaderebbero l’atmosfera.
* Usare energie pulite e rinnovabili
* Usare macchine meno inquinanti
* Rendere più efficienti e meno inquinanti tutti i trasporti
Fare di tutto, insomma, per eliminare l’anidride carbonica dall’atmosfera”.
Si tratta di comportamenti oggi imprescindibili, ma che possono essere programmati anche in percentuali limitate rispetto al bilancio globale, perché la visione sistemica c’insegna che è anche il concorso, ovvero la pratica simultanea e complessiva di tutte queste nuove strategie (che reagirebbero le une sulle altre) a portare il cambiamento sano. Se tutti questi comportamenti si sommeranno, potremo scendere al di sotto dei livelli di emissione critici del 1970.
"Abbiamo tutto ciò che serve - dice Gore - eccetto forse la volontà politica. Ma in America la volontà politica è una risorsa rinnovabile! Noi abbiamo le capacità per farlo; ognuno di noi ha causato il riscaldamento globale, ma tutti noi possiamo scegliere di cambiare le cose: con quello che compriamo, con l’energia che usiamo, possiamo scegliere di ridurre le nostre emissioni di biossido di carbonio a zero; le soluzioni sono a portata di mano, dobbiamo solo avere la volontà di metterle in pratica. Vogliamo rimanere indietro mentre tutto il mondo va avanti?".
Il Protocollo di Kyoto può essere un’efficace cartina di tornasole del livello di consapevolezza e del senso di responsabilità morale e politica che i governi dei vari paesi del mondo hanno raggiunto in questa materia. Non è casuale, ma significativa, secondo Gore, l’assenza, in principio, degli U.S.A. (quasi soli, se non fosse per l’Australia) dal panorama mondiale degli Stati che hanno ratificato il protocollo di Kyoto. Nonostante ciò sia un pessimo punto di partenza, Al Gore ci ha additato un segnale positivo in ciò che ha cominciato ad accadere in vari luoghi degli States, e cioè che singoli stati fra gli U.S.A. stanno prendendo iniziative in merito, distaccandosi dalle decisioni del Congresso . E’ quello che è successo con i 9 stati del Nord Est, unitisi per ridurre le proprie emissioni di CO2; California ed Oregon orientatisi anch’essi in tal senso; la Pennsylvania ha varato leggi pionieristiche sull’uso dell’energia solare ed eolica e, una dopo l’altra, molte importanti città americane stanno prendendo posizione individualmente in modo responsabile impegnandosi a combattere il riscaldamento globale. E gli altri? A che punto sono su questa via ? E’ lecito chiedersi, a questo punto, se siamo in grado di superare i nostri limiti e il nostro passato.
"La storia è piena di esempi di conquiste del progresso e della civiltà - dice Gore - che hanno permesso di superare ostacoli, ed empasses che apparivano, inizialmente, insormontabili (si potrebbero citare l’affermazione del diritto alla libertà e all’autodeterminazione per i popoli, la conquista della parità nei diritti civili da parte delle donne e delle minoranze razziali, la vittoria delle strategie di non violenza nella gestione di conflitti politici diversi, la "fine" - ammesso che se ne possa davvero parlare - della corsa agli armamenti, da parte delle superpotenze etc. etc)".
Ma fa anche testo quello che è accaduto già una volta nel passato recente, in ambito di allarmi lanciati dalla politica ecologistica più responsabile, con l’esempio del fronteggiamento del disastro del buco nell’ozono, un’altra "crisi" ambientale ritenuta di difficile risoluzione in quanto crisi "globale" per eccellenza, che avrebbe richiesto il concorso di tutte le nazioni del mondo, cosa che, appunto, si è verificata, e proprio con gli Stati Uniti alla guida del movimento che si è battuto con successo per l’eliminazione di quelle sostanze chimiche che avevano causato il problema.
"Dunque - dice Al Gore - ora si tratta di usare gli strumenti politici della nostra democrazia e decidere semplicemente di agire insieme per risolvere questo problema. Ma dobbiamo affrontarlo da una prospettiva diversa, perché si tratta di un problema diverso da tutti quelli affrontati in passato. Questa volta è in gioco il futuro della vita umana sul pianeta Terra".
Non possiamo non porci il problema delle generazioni future e di quale pianeta consegneremo nelle loro mani, ammesso che saremo riusciti a scongiurare il pericolo di singoli eventi catastrofici improvvisi, accelerati dalla progressiva degenerazione di un territorio abitato da uomini che hanno voluto non vedere e trascurare i diversi avvertimenti e segnali d’allarme mandati dal surriscaldamento globale che è stato documentato. La diversa prospettiva da cui dobbiamo sforzarci di guardare il problema probabilmente è proprio quella suggerita dall’ultima diapositiva di quella sorta di lucida e antiretorica galleria degli orrori da cui è costituito il patrimonio d’immagini esibito da Gore lungo tutto lo show dimostrativo che ripete ad ogni incontro divulgativo col pubblico. In quella diapositiva la terra appare come un puntino luminoso quasi insignificante nello scenario cosmico ritratto dalla navicella satellitare: a stento lo si distingue. Questo è il senso delle proporzioni che deve rimanerci impresso. Tutti i traguardi e le conquiste della nostra civiltà nel contesto di una storia che si è dipanata per millenni sul nostro pianeta, si sono comunque collocati e consumati all’interno di un’entità che è un puntino di dimensioni infinitesimali, a fronte dell’universo intero. Se questa storia ha un senso e se ci rendiamo conto della relatività che ridimensiona totalmente i confini del nostro concetto d’"identità" e di "grandezza" in seno all’universo, allora dovremo , conformemente, essere in grado di relativizzare, ridimensionandone drasticamente il valore, l’importanza e il peso politico di quegl’interessi economici che ancora ci impediscono di affrontare con i giusti passi la battaglia per la nostra sopravvivenza.
La seconda parte del documentario (il film uscito a 11 anni di distanza, nel 2017) ci aggiorna per l’appunto su quanto è accaduto a livello politico mondiale in risposta alla missione dell’infaticabile Gore, sui nuovi ostacoli e i nuovi avversari che il suo messaggio incontra sul suo cammino, ma ci informa in modo abbastanza esaustivo anche su quel che si è realmente riusciti a fare nel tempo intercorso, grazie all’azione ammonitrice e sensibilizzatrice di Gore e questo, fortunatamente, ci restituisce una rincuorante "boccata di ossigeno", dopo la documentazione così disperante dei danni planetari e della distruttiva inerzia dei governi.
Anche questo film si presenta al pubblico come una potente chiamata alle armi, che ci riporta all’urgenza della situazione, alla necessità di abbandonare i combustibili fossili e passare all’energia rinnovabile. Più che mai oggi dobbiamo ATTIVARCI TUTTI, IN FRETTA E IN MANIERA EFFICACE.
Anche questo documentario segue Gore nelle sue conferenze e nei suoi incontri a tutti i livelli supportando le sue riflessioni con immagini molto significative. I disastri ambientali qui documentati (soprattutto in relazione allo scioglimento dei ghiacciai, che continua in modo che non esiterei a definire agghiacciante, se non suonasse, purtroppo grottesco il gioco di parole, e al fenomeno altrettanto allarmante delle alluvioni, frutto inevitabile dello squilibrio portato nell’ordine delle precipitazioni atmosferiche dal surriscaldamento e dal suo conseguente incremento dell’evaporazione, nonché dall’innalzamento del livello delle acque marine sempre in seguito allo scioglimento dei ghiacci) sembrano assumere una tonalità più drammatica, anche perché appaiono come l’apocalittico avveramento di previsioni che il team di scienziati che assistono Gore nella ricerca aveva già fatto e, appunto tramite Gore divulgato, benché "vox clamans in deserto".
Parallelamente, in questo secondo film destinato a simboleggiare lo stadio dello scontro inevitabile fra la sana battaglia ideologica che vorrebbe salvare il pianeta e il principio di realtà, ovvero lo zoccolo duro dei suoi avversari e delle loro motivazioni, sono molto più evidenti i fronti contrapposti e, mentre Gore ottimizza le strategie della sua battaglia, qualificandola e rafforzandola con l’istituzione di "corpi itineranti di formazione", adatti a dotare la lotta di più estesa e capillare capacità di penetrazione dell’informazione, affiorano con maggiore aggressività gli avversari della politica di Gore: quelli in buona fede, ma compulsi dalle necessità di ordine economico dei loro paesi appartenenti ancora al Terzo Mondo e bisognosi, pertanto, di crescita, e quelli in aperta malafede...
Donald Trump ha proposto di togliergli il Nobel per la Pace assegnatogli dall’Accademia svedese, perché secondo lui, le sue erano solo esternazioni prive di basi scientifiche. Il documentario inizia con questo ed altri attacchi a quanto l’ex-vice-presidente degli Stati Uniti continua senza tregua a sostenere, supportando i suoi interventi con dati che solo chi si è prefissato come obiettivo di negare l’evidenza può ritenere falsi o privi d’importanza. Difficile, a questo punto, resistere alla tentazione di rievocare in tal proposito la definizione che abbiamo appreso in anni di catechesi con Antonio, di peccato contro lo Spirito Santo, che consiste, appunto nel negare l’evidenza.
Quando, nel documentario del 2006 affermò che alcuni scienziati prevedevano un consistente allagamento nell’area in cui sarebbe sorto il memoriale di Ground Zero, venne accusato di voler forzare la mano prendendo come oggetto un luogo consacrato alla memoria collettiva. Le immagini ci mostrano che quanto previsto è puntualmente accaduto. Così come ci propongono immagini delle catastrofi ambientali che si sono susseguite nel decennio trascorso e che vanno da quanto accaduto nelle Filippine a episodi singoli ma significativi come il picco di 51 gradi della scala Celsius in India, con il conseguente liquefarsi del manto stradale.
Gore, però, non è un Don Chisciotte impegnato a combattere contro i mulini a vento. E’ ben consapevole delle cause che ostacolano una soluzione che sarebbe razionale e il documentario ce ne offre la prova in un incontro con ministri del governo indiano. Uno di loro risponde seccamente alle sue argomentazioni affermando che gli Stati Uniti hanno conseguito il livello di welfare attuale grazie a 140 anni di utilizzo di carbone e petrolio. Quando un periodo analogo sarà trascorso anche per l’India il suo governo potrà pensare a fonti di energia alternative. La macchina da presa inquadra un Gore che non replica… e non era ancora arrivato Donald Trump con il suo "Energy independence".
Per me, personalmente è stato profondamente commovente seguire, dal primo al secondo dei due documentari, la metamorfosi fisica di quest’uomo serio, di buona volontà nel senso biblico del termine, che vediamo invecchiare, comprensibilmente appesantirsi, non certo solo per l’età, ma per la fatica e le prove che la missione che si è scelto gli sono costate, osservare il suo passo sempre più provato, gravato, ma nonostante tutto pronto, spedito, indomito e costantemente fedele agli impegni presi… Non stupisce che quest’uomo sia anche tanto amato dalle persone che gli somigliano e si sono seriamente immedesimate nella sua sfida, condividendola, ma anche capace di conquistare col tempo chi non lo conosce o gli è avverso. Oltretutto possiede, come tutti gli uomini profondamente intelligenti ed umani una grande capacità di autocritica e un alto senso dell’umorismo...
Nella politica di oggi, quanto bisogno ci sarebbe di uomini così?!
ANTONIO MAIONE (dopo la visione del film):
Una parola di commento per trarre le conclusioni: è importante formare le persone a dire "no" perché venga un "sì". Il che significa che ci deve essere la capacità di resistere alle pressioni delle multinazionali e di creare un clima per la democrazia che deve necessariamente coinvolgere chiunque è erede della realtà umana e cosmica.
Ciascuno di noi è erede di ciò che le generazioni precedenti hanno elaborato...
Ciascuno di noi è colui che deve consegnare alle generazioni future, il modello umano bonificato...
Questo discorso del film non finisce lì. E' un film d'azione perché la verità non è quella che si legge sui libri. La verità è la persona che rivendica il diritto di esprimersi nella sua totalità. Auguri!