30° INCONTRO DEL 22-05-2017

 
Stasera affrontiamo la tematica su gratitudine e dialogalità. Come mettere a confronto questi due elementi?
La persona si realizza nella sua onticità mediante il linguaggio, cioè l'essere della persona si realizza proprio nel momento in cui usa il linguaggio che la mette in relazione con gli altri.
Se togliete la relazione, la persona si atrofizza, diventa asfittica, non è più persona.
La persona, dunque, è una realtà che si pone nel dialogo e questo ha bisogno di sei elementi: la bipolarità personale, la precomprensione positiva, la comunicazione, la parità, la collaborazione, la differenziazione. Su quest'ultimo punto mi sono soffermato più volte perché se non c'è differenziazione, non c'è dialogo in quanto vengono dette le stesse cose da entrambe le parti e si perde solo tempo.
Considerato che la realizzazione della persona avviene mediante la dialogalità, è necessario che in questa ci sia un atteggiamento di precomprensione positiva che sia legato alla disponibilità, cioè alla gratitudine.
Visto che la mia realizzazione passa attraverso la comunicazione ontogeneticamente orientata, io ho necessità di avere un partner dialogale. Se non ce l'ho, non posso dialogare e, quindi, non mi posso realizzare nella mia specificità personale.
Pertanto, io devo essere grato perché esiste un altro al quale mi posso rapportare. Quest'altro non è programmato, ma è uno che si presenta a me nella sua alterità.
Dunque, l'altro non è programmato, ma diventa altro per me se per me è altro. Se è altro, ma non è altro per me, non è per me un altro. Sembra uno scioglilingua, ma non lo è.
Pertanto, se io ho la consapevolezza che la mia realizzazione e, quindi, la mia specificità avviene solo quando mi metto in relazione all'altro intendendolo come altro, allora io mi manifesterò a lui e, manifestandomi, io mi realizzo.
La mia manifestazione all'altro è la realizzazione in me. Quanto più io mi realizzo, tanto più ricevo e, quanto più ricevo, tanto più devo essere grato.
Pertanto, l'altro che mi si presenta e mi dà l'opportunità di esprimermi, deve essere colmato della mia gratitudine prima ancora che apra la bocca e mi dica qualsiasi cosa, ma solo perché esiste ed accoglie la mia manifestazione dandomi l'opportunità di realizzarmi nella mia realtà personale, originale, unica senza la quale io sono frustrato nel midollo delle mie ossa. Tutto il resto, poi, non serve,
Senza l'altro, io non parlerò. Se parlerò è perché c'è un altro che per me è occasione e qualche volta anche causa in quanto mi provoca, cioè mi chiama, mi fa attuare la vocazione ad essere persona e, quindi, diventa causa della mia personalizzazione.
Se è così, se io comincio a manifestarmi partendo dal di dentro di me, io mi personalizzo ed ampio il mio spazio dell'essere. Quindi, l'altro mi genera.
Se questa manifestazione del mio essere significa costituzione del mio essere che è la meta che sorge per prima nella mia realtà, io mi realizzo quando raggiungo il completamento delle mie potenzialità.
Se le mie potenzialità, cioè, raggiungono il perfezionamento in fieri permanentemente e si manifestano, io ho l'opportunità di camminare sulla linea del distaccamento dalla massa.
Quanto più mi distacco dalla massa, tanto più io metto in essere le mie potenzialità recondite, nascoste a me e agli altri e mi metto in atteggiamento di gratitudine nei confronti dell'altro che mi provoca se mi chiama ad esumare quella che è stata una sorta di massificazione inabissata nel mio inconscio. Così io trovo l'opportunità di venire a risurrezione, cioè di risorgere nella mia identità personale perché posso manifestarmi nella mia originalità e, quindi, mi personalizzo nel mio successo realizzativo che è la meta ultima della mia esistenza.
E se l'altro non risponde alla mia provocazione? La persona parla anche quando tace. Reagisce... non reagendo, ma la persona, in quanto tale, recepisce e risponde. Può farlo anche con la faccia sfingea: è comunque una risposta.
Mi sono trovato ad essere relatore in un convegno di medici. Il rimbombo del microfono disturbava enormemente l'audio, ma nessuno diceva niente. Quando è venuto il mio turno, ho detto chiaramente che avrei parlato senza usare il microfono perché fino ad allora non avevo capito una sola parola dei relatori che mi avevano preceduto. A questo punto, tutti hanno convenuto di non aver capito niente ed hanno approvato la mia scelta di non avvalermi del microfono. In effetti, io avevo rotto un sistema perché capita spesso di trovarsi in certe situazioni in cui tutti tacciono e nessuno esprime la propria
opinione. Questo succede anche in Parlamento o semplicemente nelle aule scolastiche quando chi parla non viene per niente ascoltato.
Il discorso della manifestazione e della personalizzazione diventa sempre più difficile. Per noi che su queste tematiche ci stiamo soffermando da tempo, è più facile coglierne il senso, ma i giovanissimi non riescono neanche ad accorgersene. Questo sarà il grosso problema dell'umanità prossima se noi oggi siamo addormentati e non facciamo tesoro di queste cose che abbiamo capito.
Il 30 agosto del 2015 morì Oliver Sacks, neurologo e psichiatra che aveva scritto un'autobiografia in itinere, lungo il percorso di tutta la sua vita, pubblicata pochi giorni prima della sua morte per cancro. In essa, tra l'altro, si legge: "Mi trovo faccia a faccia con la morte e non ho ancora chiuso con la vita".
Che significa? Quel "Consummatum est" ("Sono con me, sono completo") che Gesù disse sulla croce, Sacks non l'aveva ancora raggiunto...
Anche noi passiamo gran parte della nostra vita ignorando che abbiamo delle opportunità che ci saltano davanti agli occhi in continuazione, ma non abbiamo la morbidezza, la tenerezza di essere grati a quello che ci capita.
Com'è fondamentale per la persona avere la dimensione del seme! Il seme è una realtà che media la storia del passato e la propone al futuro. I semi hanno un potere adattivo: sono capaci di modificare la struttura della pianta secondo il clima. Così si adattano all'ambiente.
Gesù raccontò la parabola del seminatore (Mt. 13,3-8):
"3 Il seminatore uscì a seminare. 4 Mentre seminava, una parte del seme cadde lungo la strada; gli uccelli vennero e la mangiarono. 5 Un'altra cadde in luoghi rocciosi dove non aveva molta terra; e subito spuntò, perché non aveva terreno profondo; 6 ma, levatosi il sole, fu bruciata; e, non avendo radice, inaridì. 7 Un'altra cadde tra le spine; e le spine crebbero e la soffocarono. 8 Un'altra cadde nella buona terra e portò frutto, dando il cento, il sessanta, il trenta per uno".
Intendeva dire in che modo la persona può essere disponibile ad accogliere la storia dell'umanità pregressa, elaborarla, arricchirla con la propria esperienza e consegnarla alla generazione successiva.
Questo passaggio che si verifica nel seme, avviene anche nella persona. La persona si specifica per ciò che pensa. Noi siamo ciò che pensiamo, ma pensiamo per parola.
Noi siamo la parola... Noi siamo il seme... Ciascuno di noi è quella realtà che, grata al passato, può consegnare l'umanità al futuro... Ciascuno di noi non può vivere la propria esperienza isolandosi senza arricchire il contesto sociale...
Il che significa che solo quando la persona riesce a prendere protagonisticamente in mano la gestione della propria esistenza e trasmettere agli altri la propria esperienza, può dire di aver compiuto qualche cosa per la vita, altrimenti si ritrova, come Sacks, faccia a faccia con la morte senza aver preso ancora contatto con la vita.
Questo è un altro pensiero che ci può accompagnare: spesso c'è mancanza di responsabilità personale. Quando facciamo questi incontri, ci mettiamo in atteggiamento di ascolto, come ad aspettare che cosa succede. Ma se c'è un filo che ci unisce, non lo si può interrompere, deve essere continuativo, deve essere quello che mette in evidenza la gratitudine con la dialogalità non solamente quando, in atto, stiamo dialogando, ma anche quando, in potenza, siamo capaci di farlo.
La comunicazione dialogale che richiede la gratitudine, cioè, non avviene solo quando la si pratica, ma anche quando si ha la consapevolezza di poterla fare perché si ha un gruppo di riferimento col quale potersi confrontare.
Ci sono persone che vivono in solitudine, non parlano con alcuno e non hanno nessun riferimento.
Però se esiste un feeling subconscio di riferimento, non posso più fare un incontro sulla felicità del futuro mettendomi in un atteggiamento isolazionista, ma devo annodare la mia realtà a livello socio psicologico, cioè io mi devo sentire un tutt'uno tenendo presente tutte le componenti della personalità: quello intellettivo con i contenuti noetici, quello volitivo che è deliberativo e decisionale, quello affettivo che addirittura registra la sicurezza...
La mancanza di sicurezza si manifesta quando la sfera affettiva non è ben compensata per cui uno può avere tutte le certezze sul piano teorico, ma resta un insicuro perché non si sente amato. Un fatto è la certezza, un altro fatto è la sicurezza.
Quando poi, uno si pone anche sul piano dell'operatività, allora la personalità si integra completamente e diventa una potenza.
Comunque imporre agli altri quello che uno crede, va contro la dialogalità.
La Costituzione non è una legge, ma produce le leggi, ci dice come devono essere fatte le leggi nel rispetto dei valori essenziali della dignità della persona sia in quanto singola, sia in quanto immessa nella società e garantisce che le minoranze siano rispettate.
Capita poi, frequentemente, che le minoranze utilizzino il governo per fare pressione sugli altri e questa è una sorta di dittatura delle minoranze sulle masse. Per esempio: se c'è un gruppo di cattolici in Italia che vogliono imporre il crocifisso nelle aule scolastiche, questa è una minoranza che impone una legge alle altre minoranze che non hanno nulla a che vedere con i crocifissi.
La Costituzione deve garantire, invece, la libertà delle minoranze. Se io sono cattolico, non posso pretendere che l'altro che non lo è, non divorzi. Se voglio che sia fatta una legge a tale proposito, io cattolico, senza accorgermene, utilizzo un sistema dittatoriale perché spingo il governo ad imporre una legge all'altro che nulla a che fare con l'unità e l'indissolubilità del matrimonio perché l'indissolubilità del matrimonio non dipende dall'uomo, ma dal fatto che il cattolico ha una fede in Cristo il quale si è "sposato" con l'umanità in quanto ha congiunto in Sé tutta l'umanità con la divinità.
Questo è il matrimonio per chi crede che Gesù è il Figlio di Dio, ma per chi non crede in questo, il matrimonio è un contratto che si stipula e si scioglie.
Se io credo, sarò io a battermi perché l'altro viva la sua libertà. Non difenderò le mie idee a danno di quelle dell'altro, ma mi batterò perché le idee dell'altro siano rispettate.
Le idee, quindi, vanno proposte e non imposte. Proprio perché io professo la fede, questa mi dice di avere rispetto dell'uomo così com'è e al quale io propongo la mia acquisizione. Se impongo la mia posizione, io costringo l'altro ad essere come non è.
Qualsiasi cosa l'altro faccia, se non scaturisce dalla propria intimità, è la sottoscrizione della propria alienazione. Nel momento in cui io offro all'altro l'opportunità di rendersi conto di un determinato modo di vivere, sarà lui a doversene convincere e quindi, ad esprimere e manifestare la sua originalità così come l'ha acquisita. In questo modo io l'ho liberato, ma se esporto... la democrazia senza fargliela acquisire, io impongo una dittatura... democratica!
Ma è compatibile l'Islam con la democrazia? Sì, perché in esso non esiste la gerarchizzazione.
Roger Garaudy, politico francese, si convertì all'islamismo e disse che per fare teologia bisogna essere cattolici e per applicare il cristianesimo bisogna essere islamici...
Come veicolare questi contenuti ai giovani? Bisogna tenere presente la situazione reale e concreta. E' sempre possibile svolgere la didattica, ma la didassi è, invece, sempre strettamente personale ed è legata molto all'aspetto occasionale. Bisogna, cioè, vedere di volta in volta come porsi in una situazione di ascolto dello stato d'animo dell'altro per potergli veicolare qualcosa, altrimenti la comunicazione resta sempre fallimentare.
Antonio Rosmini diceva che la relazione va dal cuore alla testa e non viceversa, cioè parte dalla sfera emozionale e va verso il cervello per cui se l'altro non ti sente capace di amarlo e di accoglierlo, non si apre. Infatti qualche volta gli alunni apprendono qualcosa dai compagni e non dal professore brillante che però li guarda dall'alto in basso.