31° INCONTRO DEL 28-05-2018 nella parrocchia di Santa Maria della Libera

Siamo alle ultime tappe e questo richiede la necessità di fare una sintesi. Ce ne offre l'opportunità il n. 239 dell' "Evangelii Gaudium" che ci mostra anche un aspetto interessantissimo che ci riguarda molto da vicino in quanto apre il discorso della dialogalità intesa come abbattimento del muro di separazione. Due ambienti, infatti, possono unificarsi se si abbatte il muro.

Lo leggeremo tutto, ma intanto voglio mettere in evidenza l'aspetto importantissimo del dialogo personificato. Noi del dialogo abbiamo il concetto di una realtà effettiva, del fare; mai recuperiamo il dialogo sotto l'aspetto ontologico.

Il dialogo, dunque, non è il dire che è solo l'aspetto accidentale, ma nella sua sostanzialità, il dialogo è una persona. Questo è molto difficile. E' un costituire, un mettere in essere, un realizzare, un far sì che la dualità diventi unità.

Queste cose devono essere ascoltate, intuite, capite, comprese, attuate. Quando arriviamo all'attuazione, troviamo la nostra pace.

"La Chiesa proclama il Vangelo della pace"...

Noi siamo abituati a pensare alla pace come ad un trattato con regole stabilite per impedire la guerra. Ma non è così . Qui significa che la pace non è il mettersi d'accordo sul da farsi, ma è l'eliminazione del dire perché già ci si è costituiti in un'unica realtà.

Nel capitolo 17 del Vangelo di Giovanni, al versetto 21, leggiamo: "Ut unum sint" ("perché siano uno").

Con l'analisi che sto facendo (il n. 239 racchiude, in realtà, il contenuto di una decina di paragrafi), ci rendiamo conto che il Vangelo della pace, quindi, non è quello che predica come fare la pace, ma mette in essere l'elemento costitutivo della pace che non riguarda un aspetto accidentale, ma è sostanziale perché consiste nel fatto che la dualità diventa unità in Cristo Gesù che è il Vangelo (il Vangelo non è un libro, ma la persona di Gesù Cristo), che è il dialogo, che abolisce in Sé la dualità della natura divina, assoluta, libera da ogni condizionamento e da ogni vincolo e inibizione, e la realtà umana che assume la consapevolezza della propria individualità e, quindi, della propria materialità, ma di questa coglie l'aspetto della "mater" che è la relazione primaria.

Allora ci troviamo di fronte alla bipolarità dell'Assoluto e del relativo, dello spirituale e del materiale, dell'infinito e del finito, dell'atemporale e del temporale che vengono cuciti, suturati tanto strettamente da costituire un tutt'uno perché in Gesù c'è una sola persona in cui vengono unificate le dualità.

La potenzialità che ciascuno di noi ha, è quella di entrare a far parte di questa realtà unificante perché nonostante abbiamo una molteplicità di attuazioni nell'essere (ognuno di noi è fatto a modo proprio), queste infinite forme hanno una tendenza a diventare un tutt'uno con la realtà umana di Gesù per scrivere il Vangelo della pace che presuppone l'eliminazione della conflittualità.

Il conflitto sorge tra il finito e l'infinito, tra il precario (l'essere carente) e il provvisorio (il vedere ciò che sarà). Nella dimensione conflittuale di queste due parti c'è una tensione, un orientamento a diventare ontologicamente uno. Questo costituisce l'unità del Vangelo umano.

Il Vangelo, come abbiamo detto, è Gesù nella cui Persona i due poli si uniscono. Nella Sua umanità sono innestati gli uomini che entrando, quindi, a far parte dell'umanità di Cristo diventano costitutivi del Vangelo.

Allora, proclamare il Vangelo della pace non vuol dire prepararsi una lettura ed andare ad annunciarla, ma significa diventare costitutivi della parte che è congiunta all'altro polo nell'unificazione personale.

Allora anche una persona che si trova in un posto sperduto della terra, non è una che ha perso il contatto con l'umanità perché questa (e quindi anch'io) è una realtà tendente a formare le pietre che costituiscono il tempio animato dallo Spirito che rappresenta l'altro polo e che non si mette in atteggiamento antagonista, ma in atteggiamento pacifista in quanto la pace, nella realtà cristica, non è l'eliminazione di un conflitto, ma è un costruire l'unificazione di un polo con l'altro polo che consenta a tutte le persone della terra di avere l'unificazione.

Il Vangelo, allora, si riveste di una caratteristica che ricopre la totalità di tutto il corpo mistico.

Quindi, ciascuno di noi è chiamato ad essere pace, non a parlarne, ma a viverla perché nella singola realtà personale di ciascuno si trovano associate, come in Cristo, le due dimensioni umano - divina.

La singola persona quando incontra, nella sua materialità, la possibilità di suturare questa nella spiritualità e viceversa, trova la sua pace. Diventa pace. Non ha bisogno di andare altrove a cercarla perché la pace non la si incontra al di fuori di sé, ma nel midollo delle proprie ossa allorché la persona

prende consapevolezza di appartenere all'una e all'altra dimensione che in Cristo sono unificate. Poiché Cristo Vangelo è pace in Sé, ci si incontra con Lui se ciascuno, dentro di sé elimina la dimensione di antagonismo e recupera quella di complementarietà, di solidarietà, di diversificazione manifestativa, ma non di diversificazione dell'essere che resta uno nella sua totalità.

Il 17° capitolo di Giovanni ci dà l'opportunità di capire il nostro orientamento alla pace, intendendo per questa, la realizzazione piena del proprio essere.

Questo non comporta l'abolizione della socializzazione né delle scienze, non comporta il bisticcio delle religioni, ma il soggetto, pacificato dentro di sé, inserito nell'essere divino - umano che è Cristo, si riveste della Sua stessa unità e questo gli fa avvertire la pace.

Una volta che la persona è unificata, elimina dentro di sé l'ambivalenza, la divergenza tra l'essere e la morale, cioè tra il desiderio attuativo di sé e la normativa che viene dall'esterno.

L'ingresso nella dimensione evangelica di pace comporta l'annullamento della dimensione estrinseca della legge che non esiste più, perché la legge sono io.

E' difficile capire questo perché se uno non ha fatto un cammino interiore per unificare e far combaciare il desiderio anche materiale, anche storico, con quello divino, ha difficoltà a capire come Dio sia presente nella storia e si manifesti nelle potenzialità nascoste in ogni persona per cui la dialettica tra fede e scienza, tra fede e ragione, tra corpo e anima, tra storia e metastoria, tra il desiderio e la legge non esiste più. C'è un'unificazione. E' come se il datore della legge fossi io per cui quello che faccio è la legge che devo osservare.

L'osservanza, allora, diventa espressione personale e non un vincolo che viene dal di fuori.

Per questo motivo il Vangelo diventa pace perché fai proprio quello che sei portato a fare in quanto hai colto la tua essenza. Diversamente, Dio viene considerato come uno che viene dal di fuori a darti ordini che confliggono con il tuo orientamento. Se fosse così, Dio si opporrebbe a te.

Altro fatto è, invece, se il Vangelo è quello che elimina l'antitesi e ti fa accorgere che fai parte dell'unum. Quindi, non c'è l'uno contro l'altro, ma sei tu che nella tua potenzialità ti inserisci nelle relazioni multiple con tutta la realtà del creato e questo tuo inserimento nel cosmo è l'inserimento di Dio nel cosmo che trova l'aspetto epigonale, ultimo, attuativo, nella manifestazione in Cristo perché "Dio. che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio" (Eb 1,1-2). Si è manifestato, cioè, nella pace di Cristo che è il Vangelo.

Solamente quando io divento personalmente gaudente la pace, sono Vangelo.

Al n. 239 leggiamo: "La Chiesa proclama il Vangelo della pace ed è aperta alla collaborazione con tutte le autorità nazionali ed internazionali per prendersi cura di questo bene universale tanto grande. Nell'annunciare Gesù Cristo che è la pace in persona..."

Se si legge così, senza aver fatto tutto un percorso, sono solo parole che si susseguono. Se, invece, uno scava e capisce che Gesù Cristo è la pace perché è la totalità dell'umano, io collocandomi nella totalità dell'umano, partecipo alla totalità del divino eliminando dentro di me il conflitto per cui quello che avviene in me, non va contro Dio, ma io divento parte attiva nella realizzazione del divino nella storia dove ogni realtà esistente, nella sua diversità, è un aspetto dell'unica realtà.

Prigionieri come siamo di categorie concettuali, facciamo fatica a pensare Dio presente nel verme che viene schiacciato, nella gallina che viene mangiata dalla volpe, facciamo fatica a vedere in questa realtà che a noi fa ribrezzo, la dimensione attuativa verso l'unità.

I vermi sono uno stadio dell'esistenza materiale che si è evoluta tanto fino ad avere nei primati (le scimmie) un sistema nervoso con una capacità affettiva. Gli animali superiori hanno una capacità di relazionarsi che noi non riusciamo a capire bene. Dai pitecantropi agli antropoidi, all'homo erectus, all'homo sapiens, arriviamo fino all'uomo che prende consapevolezza ed entra nell'intimo di se stesso e stabilisce una relazione comunicativa su vari settori: su quello intellettivo, quello affettivo, sentimentale, corporeo, operativo, ecc..

Questa fusione può diventare qualche cosa di eccezionalmente attuativo dell'unico essere perché "Dio opera tutto in tutti" (1Co 12,6). Se io sono entrato nella pacificazione con Dio, mi oriento a cogliere dentro di me le parti che potrebbero sembrare oppositive a Lui e che, invece, sono manifestazioni dell'unica realtà divina che anela ad andare oltre fino a raggiungere quell'armonia unificante.

Questa unità ontologica che è presente in Cristo, si trasferisce in noi.

"Gli disse  Filippo: Signore, mostraci il Padre e ci basta. E Gesù: "Chi ha visto me ha visto il Padre" (Gv 14,8). E poi: "Io sono nel Padre e voi in me e io in voi" (Gv 14,20).

Il Vangelo, allora, è il superamento della dimensione oppositiva. E' la costituzione dell'unità. Dentro di me, io posso unificare concettualmente, ma anche emotivamente la totalità dell'essere.

Mi viene in mente l'immagine di una persona piena di bubboni di pus... Se ho la chiave di lettura giusta, penso che il pus è una cosa viva, capace di moltiplicarsi, è coccico. Se io lo so vedere non in funzione del malato che soffre, ma per quello che è in sé, ho l'opportunità di rendermi conto di come le realtà minime hanno una grande capacità vitale. Per esempio, gli acari neanche li vediamo, ma li avvertiamo per l'allergia che provocano... Ci sono anche dei ragnetti rossi molto piccoli che corrono come saette e sono capaci di sopravvivere... Una pianta rimargina la corteccia che viene strappata...

Io faccio i battesimi sotto un platano su cui è stato inchiodato un cartello con un divieto di circolazione. La corteccia di quest'albero piano piano crescendo ha inglobato il cartello al punto tale che di questo si vede ormai solo un filino. Chi si battezza si riveste dell'unica veste di Cristo intessuta tutta d'un pezzo, senza cuciture, ed entra a far parte dell'unica realtà che è la pace. Nessuno può venirci a dire che cosa dobbiamo fare quando abbiamo preso consapevolezza di appartenere a questa realtà che in Cristo è stata cucita mirabilmente.

Quando io ho colto questa dimensione, non mi manca più niente, ma comporta che di tanto in tanto, mi fermi a domandarmi: "Come mai io sto catapultato nel tempo e nello spazio in una dimensione altamente dinamica? Per fare che?". E rispondere: "Per avere il senso della mia esistenza che trovo in Cristo che mi fa legare gli opposti".

Perciò Cristo è l'Alfa e l'Omega, il muro che si abbatte, la porta che mette in comunicazione due ambienti. L'ambiente divino e quello umano hanno un rapporto osmotico unificante non solo in Lui, ma nella Sua dimensione totale. Lui è il capo, noi siamo le membra, ma partecipiamo della stessa vita come il ramo che viene messo nel portainnesto ha la stessa radice e la stessa linfa anche se il frutto si diversifica.

Non bisogna allora scagliarsi contro l'altro perché se tu sei innestato nel portainnesto dove c'è la Sua stessa linfa, non puoi metterti a giudicare l'altro ramo se per caso questo non è ancora innestato.

Quindi, il dialogo interreligioso, il dialogo interculturale, il dialogo interrazziale non hanno senso se si coglie questa realtà. Diventa una cosa scontata così come è scontato che una mano soccorra immediatamente l'altra se questa è in sofferenza. Noi siamo tutti costituiti in un unico corpo. Pertanto, la solidarietà tra di noi scaturisce dal riconoscimento di questa unità.

"Ut unum sint" diventa allora attuativo anche politicamente, intendendo per tale il trovare il modo di realizzarci nella totalità del nostro essere senza eliminare alcuno della famiglia umana perché ognuno è manifestativo dell'unica realtà divina.

Riprendo la lettura: "Nell'annunciare Gesù Cristo, che è la pace in persona, la nuova evangelizzazione sprona ogni battezzato ad essere strumento di pacificazione e testimonianza credibile di una vita riconciliata. E' tempo di sapere come progettare, in una cultura che privilegi il dialogo come forma d'incontro, la ricerca di consensi e di accordi, senza però separarla dalla preoccupazione per una società giusta, capace di memoria e senza esclusioni. L'autore principale, il soggetto storico di questo processo, è la gente e la sua cultura, non una classe, una frazione, un gruppo, un'élite. Non abbiamo bisogno di un progetto di pochi indirizzato a pochi, o di una minoranza illuminata o testimoniale che si appropri di un sentimento collettivo. Si tratta di un accordo per vivere insieme, di un patto sociale e culturale".

Tutto questo ha le sue radici nella dimensione ontologica dell'antropologia che è una tensione permanente. Io devo chiedermi perché il ladro ruba, perché l'assassino uccide... Il domandarmelo non significa che io trovi la soluzione al problema, ma una risposta al perché uno si muove in un determinato modo. La risposta è che ha dentro di sé una conflittualità. Il bisticcio dentro diventa bisticcio fuori quando la persona non ha il dominio di sé.

Che cos'è allora la pace? E' identificazione con Cristo. E' arrivare alla consapevolezza che fa dire: "Vivo, ma non sono più io che vivo: è Cristo che vive in me" (2Gal 16,20).

Quando Cristo può vivere in me? Quando io non mi lacero, quando, cioè, quello che faccio proviene dall'equilibrio del mio profondo e, quindi, è espressione, sul piano epifenomenico, del mio noumenon, quando la mia realtà si può esprimere in autenticità.

"Sia il vostro parlare sì, sì - no, no" (Mt 21,37)...

Cristo può vivere in me quando non devo rendere conto ad alcuno se non a me stesso, quando mi sono già cucito e ricucito tutti i pezzi che mi costituiscono e che non sono scissi da quelli sparpagliati nell'umanità...

Ovunque ci sia una parte dell'umanità, quella mi appartiene. Non c'è nulla di umano che non mi appartenga e, nell'umano, non c'è nulla di esclusivamente umano perché, in quanto tale, è aperto all'infinito, alla libertà totale, al divino; è in cammino verso l'unum.

Queste parole possono essere considerate completamente avulse dalla storia e dalla quotidianità, ma se uno si incontra con Cristo, scopre che finisce col dare una colorazione profondamente umano - divina al quotidiano per cui la preghiera non è più un chiedere ad un altro, ma è prendere consapevolezza che tutto sta nella profondità del proprio essere.

Viktor Frankl, neuropsichiatra ebreo, diceva che Dio sta nell'inconscio, cioè è dentro di noi prima ancora che ne prendiamo consapevolezza perché noi siamo espressioni in tensione per costituire il dialogo che è una persona.

Riprendo l'inizio: noi consideriamo il dialogo sotto l'aspetto del dire, quasi sempre per prevalere (voglio dialogare nel senso che voglio avere ragione sull'altro). Non è questo il dialogo.

Il dialogo è l'arricchimento reciproco di due persone che entrano in sintonia ponendosi sullo stesso piano. L'annientamento dell'altro è la decurtazione di te. Più annienti l'altro prevaricando su di lui, più tu ti deprivi della sua alterità, perché finisce che l'altro non ha più nulla da dirti e nulla da essere, in quanto tu, esorbitando il tuo essere, occupi il suo spazio e gli togli il suo diritto di giustizia che proviene da Dio. E' Lui che ha messo in essere la realtà di ciascuno con dentro le ragioni seminali per cui ciascuno è sospinto a raggiungere un livello sublime di arricchimento della totalità.

"L'atomo opaco del male" - come Pascoli definisce la terra - nella sua fragilità, è quella che mantiene in equilibrio il sistema solare, così come la luna. Il sistema gravitazionale, cioè, è retto dalla presenza dei vari corpi. L'equilibrio teologico spirituale è retto dalla presenza nella storia di ciascuno di noi.

Assaporare questa vocazione profonda che abbiamo, significa accorgerci di essere destinati al raggiungimento di una totale partecipazione all'Essere divino.

Allora, la preghiera di Gesù: "Ut unum sint", non è una preghiera astratta, non vuol dire: "Speriamo che siano tutti uno", ma si riferisce ad un'unità già realizzata.

"Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me" (Gv 17,20). Si riferisce a noi e per "parola" intende la testimonianza, cioè se tu hai attuato in te la pace, tu la puoi offrire all'altro e questi può trovare così la sua pace.

"Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal male. Essi non sono del mondo come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu mi hai mandato nel mondo, anch'io li mando nel mondo". (Gv 17, 15-19).

La verità non è quella che si dice, non è quella logica né quella morale, ma è quella realizzata, quella ontologica. Quest'ultima è l'attuazione dell'unum.

La Parola di Dio è Parola incarnata e se noi siamo un tutt'uno con Lui, anche noi siamo parola incarnata, costituita in essere.

S. Paolo dice: "Completo nella mia carne quello che manca alla passione di Cristo" (Co1,24)...

Quindi, possiamo mettere il nostro ramo sul portainnesto cristico in modo che ogni nostra azione sia fatta in quanto tralci dell'unica vite.

Gesù dice: "Io sono la vite e voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla" (Gv. 15,5)...

"Come tu, Padre, sei in me ed io in te, siano anch'essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Gv. 17,21)...

Quelli che sono sparpagliati nel mondo si domandano: "Qual è il senso della mia esistenza?".

Il senso della tua esistenza è quello di entrare nella relazione dialogale che in te si incarna e diventa un tutt'uno eliminando la conflittualità per cui materia e spirito non si bisticciano più dentro di te e tu diventi padrone della tua vita. Sei un Dio e, in quanto tale, la legge la fai tu. Ma come? Nel momento in cui tu senti la tua divinità, devi avere la capacità di recuperare il valore della totalità delle presenze  perché nel verme o nel ragno io posso trovare lo stesso dito di Dio, così come nel pus e nella ferita, se riesco ad averne una visione dall'alto.

Vedete, allora, come questo piccolo passo ci apre al dialogo che noi pensiamo di attuare solamente facendo rumore con la bocca senza avere il tempo di appropriarci della capacità che abbiamo dentro di noi di stare in pace quando l'aspetto corporeo non si oppone a quello psichico e quello psichico non si oppone a quello sociale, quando regna l'armonia perché siamo tutti in cammino.

Chi sta più avanti o più indietro non ha importanza. Anche dentro di noi ci sono delle zone arrivate alla nostra consapevolezza e altre no perché sono ancora in attesa e noi non dobbiamo avere fretta di portare tutto a galla: salirà un poco alla volta...

E' possibile costruire l'unità con quelli di religioni diverse?

Garaudy, statista francese, convertitosi dal cattolicesimo all'islamismo diceva: "Per fare teologia bisogna essere cattolici. Per vivere il cristianesimo bisogna essere islamici".

Che vuol dire? Che nell'Islam la dimensione orizzontale è molto più accentuata. Nel Corano ci sono dei filoni che spingono alla fratellanza e alla familiarità. Nel mondo islamico, l'appartenenza al gruppo umano e familiare è più vissuto che non da noi. Noi abbiamo l'apartheid (l'appartamento), loro hanno la capanna...

Consideriamo le nostre categorie come le migliori in assoluto, ma per poter dialogare si deve cercare di cogliere la possibilità che sta nell'altro senza rinnegare la propria, cogliere il positivo che sta nell'altro. Noi, purtroppo, siamo troppo legati al modello che caratterizza la nostra cultura.

L'esortazione apostolica non è di tipo religioso, ma cerca di portare il messaggio a livello antropologico. Noi non dobbiamo trovare i punti di scontro con gli altri, ma quelli d'incontro perché nella persona non si fa la differenza tra occhi, orecchi, ecc., ma si salvaguardano e gli uni e gli altri. Una mano aiuta l'altra mano e se, per caso, ci facciamo male in una parte qualsiasi del corpo, interviene tutto il resto per cercare di salvare quella situazione.

Quindi, come nel corpo umano, noi dobbiamo avere con gli altri lo stesso atteggiamento. La persona è una realtà misteriosa...

Di Einstein fu scritto sul giudizio di scuola: "Certamente non farà mai niente di buono nella vita"...

Madre Teresa di Calcutta fu allontanata dal convento perché ritenuta priva di vocazione...

Gesù fu condannato a morte accusato di bestemmia...

Giordano Bruno fu mandato al rogo...

Lutero fu dichiarato eretico, passionale e ribelle dalla corrente di Cocleus che stava dalla parte dei dominatori... In effetti, delle cose dette da Lutero sono poi state assunte dal Concilio Vaticano II...

Il dialogo, dunque, è la persona che si comporta secondo l'insegnamento ricevuto, ma questo è un aspetto che io definirei banale, secondario, marginale. A me interessa che ciascuno colga la possibilità di attuare il dialogo dentro, eliminando i conflitti e suturando l'aspetto umano con quello divino per diventare padroni della propria esistenza, non conoscere più divieti, obblighi e costrizioni.

Il Vangelo, così diventa libertà, diventa persona. Il messaggio, quindi, non è quello verbalizzato che giunge alle orecchie e lo si capisce pure, ma è quello ontologizzato, attuato, costitutivo della persona per cui il libro del Vangelo non mi interessa più, così come non mi interessa la lezione che mi viene impartita sul Vangelo.

Gesù, quando parlava, non era capito da buona parte degli ascoltatori. Per questo, alla domanda di Filippo di cui abbiamo parlato all'inizio, Gesù rispose spiegando che chi coglie sé nella profondità del proprio essere, vede il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, vede la totalità, vede il tutto.

Se una persona non raggiunge questo livello di interiorizzazione, gira attorno alla religione, ma non coglie la fede che è unificante, che porta all'unum dentro.

E' importante che tu ti rendi conto di avere la vocazione di fondere dentro di te il tempo con l'eterno, il materiale con lo spirituale, lo psichico col corporeo e trovare la pace.

Che pace, allora, puoi annunciare agli altri? La puoi annunciare senza parole.

Ma questa unificazione è una tendenza permanente? Sì, è un bel lavoro da fare e quando si arriva al punto terminale, nulla più mi turba.

Se ho colto questo per qualche momento, figuriamoci che cosa si prova quando si è dentro ontologicamente e non solo psicologicamente.

Noi, siamo deformati nella razionalità. Il mistico raramente prega perché è lui la preghiera.

Il dualismo, iniziato con il manicheismo, ha avuto la sua massima espressione in Cartesio, ma nel Vangelo noi troviamo sempre le persone nella loro realtà totale. Tutte le distinzioni: anima, corpo, ecc. non vengono proprio prese in considerazione.

Il lavoro da fare è personale. Io posso assumere in me la totalità del mio essere. L'applicazione è rivoluzionaria, fa paura, perché non c'è più la morale, ma c'è l'espressione autentica per cui la persona non ha più limiti.

Perciò S. Agostino diceva: "Ama e fa' ciò che vuoi". Perché se ti ami, non puoi farlo sezionandoti (ami il piede e non la mano, per esempio). Noi del corpo abbiamo fatto una vivisezione considerando parti buone e parti cattive. Non si parla, per esempio, delle parti intime...

Ma S. Paolo, pur essendo misogino, del matrimonio dice che è un grande sacramento perché nella fusione intercorporea c'è la possibilità della fusione relazionale che dà, a sua volta, l'opportunità di entrare nella dialogalità concreta e realizzata.

Se non si è mai sperimentato questo, è perché l'altro è stato considerato come un oggetto, non come una persona con cui ci si può relazionare nell'autenticità della trasparenza della fronte e dirsi completamente e reciprocamente.

La nostra religiosità, invece, ci ha abituati a fare il corso prematrimoniale e a mettere il tappeto e i fiori in chiesa. Ma per sposarsi, ci vuole un cammino...  

 


Crea un sito web gratis Webnode