Il primo punto che tratteremo riguarda il piacere e la gioia. Il piacere è inerente al sensoriale, la gioia al personale. Nel piacere, i protagonisti sono i sensi, nella gioia, le persone.
E' più importante il piacere o la gioia? Sono importanti entrambi quando si riescono ad armonizzare.
Papa Francesco, al n. 268 dell'"Evangelii Gaudium", mette in evidenza il piacere di gioire con Dio per quanto riguarda l'annuncio del Vangelo che è la gioia del popolo. Ma bisogna vedere se il popolo è tale.
Papa Francesco mette in relazione la coniugazione del piacere con la gioia, con la missionarietà del singolo cristiano.
"Il giusto vive di fede" (Ro 1,17), cioè si alimenta con la fede che è l'elemento portante.
Fede e giustizia sono quasi sinonimi. Anche se visti da angolature diverse, portano allo stesso punto centrale perché il giusto è quello che segue la linea dello ius (diritto), cioè la direzione per raggiungere l'orientamento, la meta ultima. Il giusto è l'"iustius", dalla parola latina "iubeo" che deriva da "Juppiter" "Zeus", "Dio", cioè è giusto chi persegue il raggiungimento della meta ultima.
Chi ha fede sta nella dimensione del Risorto. Il risorto è quello che raggiunge il culmine del messaggio evangelico in cui Gesù dice: "Lo risusciterò nell'ultimo giorno" (Gv 6,54).
Chi ha fede in Lui risorge con Cristo nell'ultimo giorno che non è l'ultimo in senso cronologico, ma nel senso assiologico. Ultimo perché viene alla fine dei valori di cui quello più importante è il raggiungimento del culmine della vita che coincide con il possesso del Risorto, con la partecipazione alla Sua stessa vita.
Partecipare del popolo di Dio significa entrare nella dimensione di essere del popolo ed essere per il popolo, sempre tenendo presente che il popolo, per essere tale, deve avere rispetto della libertà di ogni persona a realizzarsi nella sua singolarità. Altrimenti non si può parlare di popolo, ma di massa in cui i singoli vengono depersonalizzati. Che orientamento abbiamo noi per quanto attiene la capacità di scostarci dal processo di massificazione ed appartenere al popolo di Dio caratterizzato dalla fede e dalla giustizia, che hanno come punto terminale la partecipazione alla resurrezione come anticipazione dell'ultimo giorno?
Una persona antropologicamente non può assolutamente essere senza speranza. Allora il missionario, quello che si assume il carico di essere evangelizzatore non può essere tale se si sottrae al legame di appartenenza al popolo, legame che questo non impedisce di volare verso la meta.
Se una persona mi associa per farmi raggiungere la meta, non si tratta di un legame, ma di una sollecitazione a svilupparmi per il raggiungimento della mia realizzazione. Quindi, è un legame che non mi appesantisce, è associativo perché mi trascina verso il raggiungimento della meta che non è contro di me, ma è il conseguimento di ciò che mi appartiene. E' liberatorio, mi dà l'opportunità di svilupparmi, intendendo per sviluppo l'ottenimento dell'ottimizzazione della mia realtà, quindi, che non mi impedisce, ma mi sollecita, non mi mette il bastone tra le ruote, ma mi dà una sorta di spinta in avanti.
Il legame che è solo tale, non mi dà l'opportunità di correre. Se, invece, il legame mi associa ad Uno che è più veloce di me, questo legame mi aiuta.
E' più o meno come il processo di autoritarismo che è di impedimento e quello di autorevolezza che è sollecitante, che è agevolante. Il capo tiene gli altri sottoposti, invece, l'animatore, l'agevolatore fa in modo che le persone possano esprimere la loro genuinità, la loro originalità, la loro unicità.
Allora il legame con il Risorto non mi impedisce di realizzarmi, ma mi spiana la via per il raggiungimento del fine ultimo che mi prefiggo.
L'ultimo giorno, come ho già detto, non va considerato in chiave cronologica, come alla fine di una successione di giorni, ma è il "novissimo", quello che viene alla fine della realizzazione, è il completamento ultimo della realizzazione, quello che capita al termine del processo, cioè il conseguimento dell'obiettivo e non dopo la vita terrena. Bisogna scordarsi del prima e del dopo come tempo, ma considerare il meno completo e il più completo.
Allora "novissimo" è il più completo, quello che avviene al termine del processo.
Ogni persona ha il suo ultimo giorno quando è in unione con il Risorto e questo può capitare in qualsiasi momento.
Può anche capitare che uno non raggiunga il suo ultimo giorno. La persona munita di libertà non può esservi costretta perché in un contesto di amore la costrizione non è contemplata, quindi uno è libero di non raggiungere il completamento. Non ci sarebbe libertà se la persona fosse obbligata o costretta o punita nel caso che non aderisse.
L'uomo, dunque, è libero, ma per poter aderire o non aderire al progetto della meta ultima, al "novissimo", deve essere messo in condizione di poter scegliere. L'uomo non è determinato a fare così o colì. Ognuno ha delle caratteristiche altamente personali, ma che non rappresentano una negazione della propria libertà.
Ciascuno ha la sua libertà con le caratteristiche genetiche, educative, fenotipiche che sono proprie. Indubbiamente, una persona che ha avuto un'educazione, ha degli strumenti per muoversi con una libertà acquisita in un certo modo. Un'altra realtà personale che non ha avuto alcuna opportunità di acquisire gli strumenti adatti, ha un margine di libertà diverso dalla prima, ma non negata completamente.
E' possibile che uno non abbia la consapevolezza di essere in unione con il Risorto? Questo si verifica, al momento, per la stragrande maggioranza delle persone. Nonostante il livello di maturità che l'umanità ha acquisito, ci sono tantissimi che non hanno consapevolezza della loro umanizzazione.
E' una speranza non solo personale, ma antropologica, il fatto che l'umanità non possa vivere senza prospettiva. L'antropologia è caratterizzata da una visione avanti a sé, il che comporta automaticamente la speranza.
In uno degli ultimi paragrafi dell'"Evangelii Gaudium" è scritto che ci sono delle persone che si scoraggiano se non vedono i risultati del loro impegno. Lo scoraggiamento non è legato a chi ha un'apertura verso lo Spirito di Dio che opera dove vuole e come vuole e raccoglie i risultati a tempo opportuno. La parabola del buon grano e della zizzania (Mt 13,24-30) insegna come ciascuno di noi può seminare, ma non deve avere la pretesa di raccogliere perché c'è chi semina e chi raccoglie. Però è indubbio che tutto quello che uno fa, va a confluire nella tesaurizzazione dell'umanità intera e ne agevola il cammino. Anche l'atto compiuto da una persona nel totale silenzio e ignoranza del resto dell'umanità ha lo stesso risultato. Se tu fai qualcosa di buono, per il fatto stesso che agisci in corrispondenza alla tua umanizzazione, questo inevitabilmente comporta un beneficio per l'umanità intera. Oltre a realizzare, cioè, l'umanità in te, apporta un miglioramento per tutta l'umanità.
Anche nel corpo umano avviene la stessa cosa: il bene di un organo ritorna al benessere di tutto il corpo. Il malessere di un organo danneggia l'interezza dell'organismo. Noi siamo come popolo in Cristo tutti un'unica realtà.
Se ciascun uomo portasse sé ad un livello di maturazione ottimizzata, tutta l'umanità verrebbe migliorata. Quanto più uno si mette in un atteggiamento parassitario nei confronti dell'umanità, tanto più ne ritarda lo sviluppo e il cammino.
Si può raggiungere in vita il "novissimo"? Gesù disse: "Il Regno di Dio è già dentro di voi" (Lc 17,21)...
S. Francesco diceva: "Tanto è il bene che mi aspetto che ogni pena mi è diletto" ("Mi è diletto" non "mi sarà diletto")...
E ancora Gesù: "Distruggete questo tempio ed in tre giorni lo farò risorgere" (Gv 2,19)... Il nuovo tempio era già presente in Lui...
La persona è una realtà ambivalente. E' sempre inserita nella ricerca, ma in questa può avere già un'anticipazione del risultato. E' una legge di psicologia. Si verifica la stessa cosa per un danno anticipato. Per esempio, una persona che si lancia giù da una grande altezza, muore per arresto cardiaco prima di sfracellarsi al suolo.
L'ultimo giorno può riguardare anche chi non ha nessuna consapevolezza di Dio e di Cristo? Qualsiasi persona può avere la consapevolezza della sua realtà umana ed essendo razionale, non può non interpellarsi sul senso dell'esistenza, anche se non le è giunto niente dall'esterno.
Una persona che in... Papuasia vive la sua coerenza nella libertà umana e cammina verso l'orientamento realizzativo della sua umanità, porta l'umanità ad un livello migliorativo.
Una persona con coscienza retta, onesta con se stessa, è inserita in questo progetto e non ha nessuna colpevolezza se non ha avuto alcuna notizia esplicita su Dio. Però è colpevole se non si evolve sul piano dell'umanità.
E' compito della Chiesa e di chi ha fede aiutare l'altro a prendere consapevolezza di questa sete naturale che ha dentro di sé perché la persona tende alla felicità.
Se si orienta secondo la propria coscienza verso la felicità, è evangelica anche se non lo sa. Chi però ha conosciuto il Vangelo, non può non importarsene dell'altro perché a ciascuno è dato il compito per far sì che l'altro prenda consapevolezza del suo destino perché l'uomo non è solo una realtà che è.
Il bambino mangia, corre, respira senza saperlo. Quando si fa più grande, prende consapevolezza di ciò che fa. Però alcune persone non si domandano mai, per esempio, perché respirano.
L'ossigeno è condizione essenziale per la vita e fin quando sta fuori di noi, non ci dà alcun apporto benefico. Ma quando inspiriamo, entra il 21% di ossigeno e ne viene poi emesso fuori il 16%. Il rimanente 5% va a combinarsi con l'emoglobina per andare ad ossidare ogni parte del corpo. Il sangue ossigenato nei polmoni va poi nel cuore che è il motore che spinge. Tutto questo avviene in automatico. Noi ci pensiamo raramente...
La persona si realizza come tale se, nell'intraprendere una relazione, riconosce l'altro come sé. L'altro diventa manifestativo del Tutt'Altro. Quindi, nel momento in cui io riconosco l'altro come capacità relazionale che si sottrae all'apparenza e va alla sostanza, l'altro diventa per me la causa della mia costituzione in essere. Se fossi solo nell'universo, non avrei alcuna possibilità di intraprendere una relazione intersoggettiva e mi troverei nell'isolamento che è la negazione della realizzazione della persona.
Quando Gesù si rivolge alle persone, le fissa (cfr. l'incontro con il giovane ricco Mc 10,17-31).
Il fissare negli occhi è origine dell'identificazione del tu. La comunicazione profonda è funzionale alla comunione, all'unione, alla divinizzazione.
Questi non sono solo passaggi di parole. Tutto confluisce in Maria che diventa generatrice del dialogo permanente perché genera il Verbo, ma per poter fare questo, Maria ha dovuto dare una risposta all'invito alla... trasgressione perché era assurdo che una donna fosse già incinta prima del matrimonio, tanto che Giuseppe la voleva rimandare in segreto. Maria, che ha dovuto dare una risposta personale si è trovata sola, così come anche Giuseppe che non si rendeva conto del come fosse avvenuto il concepimento di Maria.
Non è possibile avere l'esperienza gioiosa senza la trasgressione, perché qualsiasi istituzione immobilizza in uno status che si chiama ruolo.
Nelle Sacre Scritture simbolicamente c'è tutto un messaggio. La persona è portata a fissare lo sguardo su una realtà misteriosa che non sta solamente fuori di sé, ma che è dentro di sé. Ma noi quanto spazio diamo all'incontro tra noi e noi per accorgerci che abbiamo una vocazione che ci porta ad una dimensione diversa da quella che viviamo nella quotidianità?
Che sarà stato, poi, di queste figure del Vangelo, come quella del "giovane ricco", che vengono presentate in un brano e che poi scompaiono? Il Vangelo, siccome si presenta in modo simbolico, non ci dà tutto il percorso della vita di ciascuno. Sono puntualizzazioni che servono come didascalie per l'umanità.
Pietro non può essere fissato nel rinnegamento perché poi ha avuto anche il coraggio di morire in croce con la testa all'ingiù... Abbiamo Paolo che aizza i tiratori di sassi contro Stefano, ma poi diventa un evangelizzatore pronto a dare la vita...
Voglio dire che ognuno di noi ha un suo percorso di errori, di recupero, di conversione, di lamenti... Però, alla fine del percorso vediamo... che fine abbiamo fatto. Non lo possiamo sapere prima...
Al n. 273 leggiamo: "Io sono una missione su questa terra". Quando ci chiediamo: "Che vivo a fare?", la risposta è: "Perché evangelizzi". Lo scopo ultimo della mia presenza nella storia sulla terra, è che io sia un evangelizzatore, cioè che io porti all'umanità il messaggio della mia umanizzazione che raggiunge la maturità, cioè la mia umanizzazione ottimizzata.
Quindi, lo scopo della mia esistenza è quello di crescere talmente tanto, giorno dopo giorno, che il... lamento non ha più motivo di esistere. Però, quanti di noi colgono nel rapporto con Gesù solo l'andare in chiesa la domenica, il battersi il petto, il chiedere di essere liberati dai malanni, di trovare lavoro, ecc.? E' un discorso di funzionalizzazione di Dio a noi, ma è un ribaltamento della fede, cioè io voglio che Dio faccia quello che io Gli ordino e se non lo fa... perdo la fede! Ma questa è magia!
Aver fede non significa il dover fare delle cose in un certo modo, ma chiedersi: "Io chi sono?".
Nel momento in cui tu ti poni questa domanda, la fede ti aiuta a manifestare progressivamente tu chi sei. Quando si verifica questo sviluppo in te, tu farai cose più grandi di quelle che ha fatto Lui. Ma se le fai solo tu, è una piccola parte dell'umanità che ha raggiunto un livello. Se anche altre persone raggiungono il livello ultimo di perfezione, le relazioni saranno ad esponenziale produttivo enorme.
Già qualche politologo, come Attali, parla del transumano (l'uomo che verrà) dandogli le caratteristiche dell'uomo evangelico non in chiave religiosa, ma in chiave politica. Il che significa che c'è un traboccamento della realtà chiusa negli argini della sacralità, ad una realtà antropologica. Non fa più riferimento all'aspetto settario, religioso, ma fa riferimento all'umano per cui certi valori acquisiti sono patrimonio dell'umanità intera.
Si può non fermarsi a Cristo, ma andare oltre? Tutto ciò che ci circonda confluisce in Cristo perché "Dio opera tutto in tutti" (1Co 12,6) e tutti sono ricapitolati in Cristo. Nell'universo ci sono le sfaccettature dello stesso Cristo perché "tutto è stato fatto per mezzo di Lui, e senza di Lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste" (Gv 1,3).
Allora io posso andare oltre Cristo sotto l'aspetto conoscitivo, metodologico, di vie e di percorsi per coglierne la totalità perché Cristo rimane sempre velato nel Suo mistero. Nessuno di noi conosce Cristo che si rivelerà solamente quando saremo faccia a faccia con Lui, ma lungo il percorso della storia personale e di quella del popolo di Dio, si è permanentemente in cammino.
Quindi, non si tratta di vedere se oltre Cristo ci sia qualche altra divinità. Cristo è il punto culminante della conoscenza. Quando io arrivo ad essere un tutt'uno con Lui, ho trovato il modo per essere armonizzato con il mondo, con gli altri e con Dio. Ho l'armonia totale. Ho il culmine dell'unum.
Diventare un tutt'uno con Dio significa rivestirsi della stessa realtà divina ed è questa dimensione che, purtroppo, a noi manca.
Ma Cristo riguarda anche le eventuali vite presenti in altri pianeti? L'antropocentrismo non può essere esteso ai pluriversi. Il cristianesimo riguarda noi. Se ci sia un'altra rivelazione, in un altro modo e in un altro mondo, questo non lo sappiamo. Noi abbiamo questa storia. Ma la storia dell'umanità non finisce con la nostra generazione. E' possibilissimo che da questa terra l'uomo possa andare ad abitare altri pianeti e che tra milioni di anni ci sia una modificazione nell'uomo così come c'è stata dall'inizio dell'umanità ad oggi. Però adesso cerchiamo di accontentarci di quello che conosciamo con certezza e che possiamo migliorare nella nostra condizione che non è una cosa molto difficile. Noi stiamo ancora a fare le guerre. L'Italia spende più della Germania per la fabbricazione delle armi. Purtroppo, anche se noi siamo contrari a questo, le tasse che paghiamo vanno a confluire in parte nel commercio delle armi perché il processo di massificazione ci obbliga ad entrare a far parte di una catena di montaggio che è contraria all'umano.
Questo modello nel quale siamo inseriti e da cui singolarmente non possiamo sottrarci, può essere però modificato se esercitiamo una forza di pressione all'interno della società. Se il popolo diventa tale, può darsi che circolino delle idee che siano più facilmente efficaci per l'ottenimento del miglioramento della famiglia umana.
Noi parliamo spesso di cose che una volta, all'interno di un gruppo catechetico, non erano argomenti di riflessione. La catechesi di una volta era indottrinamento. Oggi non è più così: è un'espressione, è una ricerca, è un andare oltre la dimensione che si è già acquisita, ma per acquisire Cristo ci vuole del tempo...
S. Paolo dice: "Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo" (Col 1,24) intendendo come patimenti, come passione, l'atto di amore ultimo che Gesù fa perché Lui è il Logos, la manifestazione verbale, non astratta, ma Verbo che diventa carne, che diventa azione, che diventa storia, che diventa umanità, che diventa totalità.
Cristo non lo si può capire leggendo una paginetta del Vangelo. Si capisce quando si diventa una realtà talmente armoniosa con il Creatore (Padre), il Rivelatore (Figlio) e con il Mediatore (Spirito Santo) per cui ci si sente in relazione perfetta con se stessi e con l'umanità intera e l'altro diventa l'opportunità di far crescere il Corpo mistico di Cristo che si presenta nell'altro butterato, nell'altro ignorante, nell'altro limitato... Ma nel mistero della vita non possiamo sapere l'altro a che punto sta. A volte, persone apparentemente insignificanti sorprendono con il loro parlare e la loro sensibilità. Non sappiamo che cosa può celarsi in un altro...
Se stabiliamo una relazione, possiamo cercare di far entrare l'altro nel nostro mondo e far sì che il nostro mondo possa entrare nella mente, nel cuore e nella vita dell'altro.
Gesù non è venuto a proporci dei sacrifici, ma la via che ci conduce alla gioia e al piacere insieme per cui il piacere di fare comunità dà anche gioia.
Sabato andremo dal vescovo Raffaele Nogaro. Anche se non tutti lo conoscete, lui è sempre stato presente tra noi e ci ha accompagnati con la sua preghiera, la sua protezione e la sua approvazione, schierandosi con noi quando abbiamo vissuto momenti difficili in cui pareva che tutti volessero scomunicarci. Raffaele Nogaro è sempre stato dalla nostra parte.
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