L'ultimo libro di Papa Francesco si intitola: "La felicità in questa vita".
Come tutti ben sapete, questo Papa sta dicendo delle cose che risalgono alle origini dell'umanità perché nel nostro intimo esiste la legge della vita che non richiede eccessivi sovraccarichi.
Quindi, quanto più snelliamo il sovraccarico, tanto più evidenziamo la naturalità e questa è in stretta relazione con la soprannaturalità. Più vicini siamo al naturale, più vicini siamo al soprannaturale. Se ci allontaniamo dal naturale, automaticamente ci allontaniamo dal soprannaturale.
In parole più semplici: quanto più ci allontaniamo dalla nostra felicità, tanto più ci allontaniamo da Dio. Questo è un cambiamento di rotta epocale.
Dobbiamo tener ben presente il 15° capitolo di Luca, detto "il Vangelo del Vangelo". Si trova a metà del viaggio verso Gerusalemme, intesa come la "Gerusalemme celeste", cioè la felicità.
In che cosa consiste? Nella gioia ritrovata, perché presenta tre famose parabole: quella della dracma smarrita e ritrovata, della pecorella anch'essa smarrita e ritrovata e quella del figliuol prodigo ritrovato.
In quest'ultima parabola c'è un banchetto che simboleggia il massimo della comunione con la Realtà divina perché l'assunzione del cibo è legata all'assimilazione.
Nel banchetto, dunque, che simboleggia il matrimonio che Dio fa con l'umanità, tutti i commensali, nutrendosi dello stesso cibo, possono assimilare la stessa realtà.
C'è un principio filosofico che recita: "Quelli che sono uguali ad un terzo, sono uguali tra loro". Questa è una verità al di fuori di ogni verifica perché si basa sulla logica.
Nel caso del banchetto, significa che se noi siamo commensali e il cibo è lo stesso per l'uno e per l'altro, l'uno e l'altro, associati nel cibo, sono simili.
Il matrimonio - banchetto non va qui inteso come lo consideriamo noi, ma in esso l'elemento portante è il matrimonio per antonomasia, la Persona del Verbo.
Per noi è difficile capire questo perché siamo talmente deformati da considerare il matrimonio come fatto da due persone che si uniscono. Ma questa è un'unificazione esterna. Invece, il matrimonio antonomastico comprende due nature talmente fuse da farne emergere una soltanto: quella del Verbo che stringe sotto le Sue ali la natura umana e la natura divina al punto tale che non è più possibile dividerle perché sono indissolubilmente legate.
Dunque, Gesù Cristo è il matrimonio, segno del banchetto che la realtà divina fa con ciascuno di noi e non con l'umanità in astratto.
L'incontro con la libertà, con l'umanità, ecc. non è possibile perché questi termini sono astrattezze concettuali. Esistono, invece, persone che si battono per la propria libertà e per quella degli altri. Il processo di liberazione, in ultima analisi, ha come destinatario il soggetto. Quindi, non c'è la libertà, l'umanità, la fraternità, l'amicizia, ecc., ma i liberi, le persone, i fratelli, gli amici...
Il matrimonio non esiste se non in una realtà personale che non è astratta. E' una situazione della persona quando unisce, nel suo profondo, tutte le caratteristiche che la compongono a partire dalla sfera dell'inconscio.
Quando dentro ciascuno si verifica questa armonizzazione, abbiamo il senso di come noi siamo in matrimonio perché questo, come esperienza gioiosa, avviene dentro la persona.
Dunque, ci possiamo... sposare stasera se le parti che ci compongono ci portano ad un'armonia tale da arrivare al matrimonio antonomastico che è Gesù Cristo che unisce in sé le due nature, quella umana e quella divina senza antitesi né divisione, ma con l'accoglienza da parte di entrambe dell'altro nella sua totalità.
Esempio: la vita sorge dall'acqua che è formata dall'abbraccio matrimoniale di due elementi chimici: l'idrogeno e l'ossigeno. Ci vogliono due atomi di idrogeno per saturare l'ossigeno per cui l'acqua ha la formula H2O. L'accoglienza da parte dell'ossigeno dei due atomi di idrogeno è un abbraccio di chimica inorganica. Se andiamo più avanti, troviamo che tutte le cellule sono predisposte al... matrimonio. Infatti, le cellule diversificate si accolgono e si verifica un'armonizzazione tra quelle del fegato, del cuore, dei reni, del pancreas, ecc., dando vita ad un'unità che è quella dell'organismo.
La singola cellula sarebbe destinata a morire. Invece, le cellule che si organizzano sono destinate a sopravvivere.
Questa partecipazione reciproca è il matrimonio naturale. C'è poi il matrimonio soprannaturale quando la realtà del Verbo entra in relazione con la storicità ed accoglie non una, due o tre persone, ma la totalità dell'umanità. Le singole persone, cioè, sono rese partecipi di una Realtà che va oltre quello che sperimentano. Ne deriva un arricchimento che è quello della ricchezza della gioia totale che si riverbera su ogni cellula, su ogni persona se queste riescono a produrre in loro quel complesso di armonia che abbraccia la totalità delle capacità che hanno dentro e le trasferiscono sul piano delle attitudini.
Però, il più delle volte, le capacità restano atrofizzate al punto tale che in una vita intera non ci accorgiamo della loro esistenza.
Quando in seguito ad un terremoto, per esempio, delle persone riescono a sopravvivere sotto le macerie per molti giorni senza cibo, senza acqua e senza luce, noi ci rendiamo conto di quali potenzialità ha la natura umana.
Noi dovremmo coglierle per costruire una rete relazionale che ci tiri fuori dall'angoscia della solitudine che il contesto socio - culturale ci scaraventa addosso senza permetterci di evidenziare le capacità espressive che abbiamo, mettendo invece in risalto la necessità di subire.
Questo è il punto! La struttura societaria, cioè, non esalta le potenzialità nascoste in ogni singola persona che, liberandosi, può mettere fuori la sua ricchezza come predisposizione genetica alla relazione arricchente nella reciprocità. Quindi, la struttura societaria vanifica questa potenzialità e rende l'uomo destinatario di una oppressione che viene dal di fuori.
Pertanto, l'aspetto del ruolo è talmente prepotente da prevaricare sul valore della naturalità al punto tale da far dimenticare alla persona stessa quanto vale. La persona, infatti, messa a confronto con il ruolo, si sente inferiore a quello che il ruolo le richiede e tutto ciò le genera uno stato di disistima, di inadeguatezza e di incapacità che la porta a pensare: "Non è per me vivere e vivere per essere felice", come se l'essere felice dovesse essere una cosa eccezionale che capita raramente.
Il ruolo (di fare la sposa, per esempio, portando scarpe dai tacchi alti che sono delle torture o abiti che intralciano i movimenti) prevale sull'evidente necessità della comodità...
Nel Vangelo leggiamo: "Il sabato è fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato", cioè le leggi devono essere funzionali all'uomo e non viceversa. Invece, ci si adegua ad un modello che non è consono all'uomo solo perché tutti fanno così.
Quando riconosciamo questa stupidità dentro di noi, avvertiamo uno stato di disagio che ci impedisce di essere felici. Ma che ci vuole ad avere un po' di contatto con il fulcro di tutto il messaggio del Vangelo? Il messaggio ci dice che c'è una Persona che in sé ha messo insieme delle realtà diametralmente opposte: l'umana e la divina, la storia e la metastoria, il limitato e l'infinito, il precario e il provvisorio, l'immune e il comune...
Noi ci immunizziamo al punto tale da rimanere vittime della nostra immunizzazione. La comunità, invece, è una ricchezza reciproca in cui l'altro ti può suscitare una possibilità espressiva che ti realizza in quanto persona perché una persona non è tale se non si mette alla luce, ma per fare questo deve avere la capacità di correre il rischio dell'avventura.
Non ci si può mai aprire per timore perché il timore impedisce la possibilità espressiva, ma se non trovo un contesto accogliente, io lo posso creare.
Qui comincia il discorso: la felicità è possibile o no? Cioè: per la persona è possibile essere tale?
Se è possibile essere persona, deve essere anche possibile alla persona di esprimersi e, quindi, di avventurarsi. Se la persona non si può avventurare, non può essere persona. La caratteristica essenziale della persona è quella di avere la possibilità di avventurarsi.
Nel secondo capitolo dell' "Evangelii Gaudium" c'è un aspetto interessantissimo che mette in evidenza come è molto frequente fare una diagnosi, ma non è altrettanto frequente dare una terapia.
Oggi è facile leggere nei trattati di sociologia, di medicina, di filosofia, di economia, ecc., la diagnosi comune che considera l'umanità come giunta ad una curvatura particolare della storia in cui il modo di essere non è conforme alle esigenze della persona umana.
Tutti vediamo che ci sono grossi progressi nell'ambito delle comunicazioni, dell'acquisizione delle tecniche mediche, ecc., ma se andiamo a fare una verifica sul ben-essere (che si identifica con l'essere), ci accorgiamo che l'essere nelle persone è mutilo perché la globalizzazione della comunicazione produce la massificazione delle persone che si trovano ad essere deprivate del bene fondamentale. Quando alla persona togliete... la persona, potete darle tutto quello che volete, ma non le avrete mai dato quello che le serve, cioè essere sé. Che cosa ci vuole per essere sé? Avere il coraggio dell'avventura nei confronti di altri con i quali entrare in relazione.
Questi sono valori discretamente acquisiti sul piano noetico, sul piano della diagnosi. Su quello della terapia, invece, abbiamo difficoltà ad entrare in relazione perché per poter fare questo, la persona deve prendere contatto con la propria profondità dove, il più delle volte, si ha paura di accedere per cui si preferisce farsi defraudare della propria essenzialità ed entrare, invece, nella dimensione della fatticità che è l'esteriorizzazione dell'interiorità. Ma quando ciò accade, quando la persona si lascia defraudare del di dentro, finisce con l'essere dominata dal di fuori, cioè fa prevalere il valore esterno a sé a quello interno a sé. Però una persona vuota di sé non potrà mai compensarsi con gli oggetti perché le cose non saziano la persona.
La deprivazione della propria interiorità, allora, costringe la persona alla fatticità che non è manifestativa di sé per cui si produce una spaccatura diabolica e, quindi, la disarmonia.
Questo avviene quando la persona fa, ma non è quel che fa. Altro fatto è, invece, essere e trovare la via per esprimersi.
La domanda da farsi è questa: "Io esprimo ciò che sono?". Se sì, la mia espressione è liberatoria, ma se l'espressione è data dalla costrizione, è una prigionia, è una schiavitù. La stessa cosa se la faccio perché parte da dentro, io mi allargo e cresco nel farla. Ma se non parte da dentro, tutto ciò che faccio, anche il meglio, è prigionia.
Noi attribuiamo permanentemente la responsabilità della nostra realtà ad elementi fuori di noi. Ma il processo educativo ha come oggetto il soggetto stesso. Nessuno viene educato perché è ciascuna persona che si educa. Purtroppo la psicopedagogia per lunghi decenni ha prodotto il guasto per aver voluto educare dal di fuori. Ma questo sistema non è educazione, è ammaestramento.
"Educazione" viene da "ex ducere" e significa creare le condizioni per sviluppare nel soggetto le capacità che non possono non esserci perché l'essere, in quanto tale, è capace di essere quel che è. Se poi subisce limitazioni, ciò avviene o perché non ha avuto il coraggio di esprimersi o perché non ha avuto le condizioni per farlo. Però se se ne accorge può correre ai ripari.
C'è un film molto interessante: "My name is Adil" ("Il mio nome è Adil") che è la storia vera del regista e dell'interprete del film stesso, Adil Azzab, ("Adil" significa "il saggio"), un marocchino ridotto in schiavitù da uno zio di cui custodiva le pecore. Il giovane si ribella e scappa. Giunto in Italia come migliaia di altri emigranti africani, lavora sodo e studia contemporaneamente. Impara bene l'italiano e diventa attore e regista.
E' un esempio per noi che facciamo studi altolocati, ma poi per quanto riguarda la modificazione del nostro vivere, siamo in una situazione di staticità che si vede chiaramente.
Ma tutto passa sotto silenzio mentre le flotte che portano missili a testata nucleare multipla, viaggiano regolarmente. Quando poi capita un errore (che si fa capitare) scoppiano le guerre e noi, poi, recitiamo i rosari perché cessino. Ma mentre si preparano le guerre, non facciamo niente. Il Papa, qualche tempo fa ha detto che siamo già nel terzo conflitto mondiale. Questo avviene perché l'economia non è funzionale al ben-essere della persona. La mancanza del ben-essere produce il massimo della frustrazione alla quale è collegato il massimo dell'aggressività che, introdotta nella massificazione, diventa un esplosivo non più controllabile.
Maggiore è la frustrazione, maggiore è l'aggressività e questa, se viene massificata, mette termine alla comunicazione per cui la criticità si abbassa notevolmente. In mancanza di criticità, le persone tirano fuori tutte insieme un'aggressività non più contrattabile per cui tutta l'economia (della salvezza non del denaro) se ne salta.
Il denaro deve essere funzionale alla persona, deve stare al suo servizio e non viceversa. La povertà evangelica non è la miseria, ma la disponibilità ad offrire la propria ricchezza. Se io ho una ricchezza interiore, anche se sono povero, posso arricchire.
Quando Gesù povero fu interrogato da Pilato: "Sei tu il re dei giudei?", gli disse: "Questo lo dici da te o altri te lo hanno detto di me?". Che voleva significare? Che gli voleva regalare la capacità critica che è il valore primario della persona. Chi perde la propria criticità, perde anche l'intelletto. E quando una persona ha perso la testa, non le resta più niente perché firmerà tutte le carte, anche quelle della propria condanna. Se, invece, ha la testa, non si piegherà davanti a nessuno.
Quando l'imperatore Alessandro Magno incontrò Diogene e gli propose di stabilirsi a corte, Diogene gli disse semplicemente: "Scostati, mi fai ombra".
Questo discorso investe ciascuno di noi e deve farci chiedere: "Quante volte io mi sono accontentato del comodo che è meno rischioso, ma anche molto meno gioioso?". Il comodo non produce la felicità, è il coraggio che la produce. Quando si ha il coraggio si può anche mancare di competenza perché è il coraggio che certe volte rende anche competenti.
A volte ci si ritrova in situazioni particolari in cui ci si rende conto che il ribaltamento del ruolo sulla persona è il massimo danno, ma la stragrande maggioranza delle persone è... arruolata e anche ciascuno di noi è avvitato nel ruolo.
Allora per modificare la società è necessario cercare di entrare nel proprio intimo e vedere se si può smantellare un modello al quale si aderisce senza averne tutto il convincimento.
Quando l'esteriorità vince sull'interiorità e la distrugge, se ce ne accorgiamo, è un gran vantaggio perché possiamo sempre ravvederci. Quando, invece, non ce ne accorgiamo più, allora il danno è reso irrisolvibile.
Questi incontri devono servire fondamentalmente a destare in noi la consapevolezza del diritto ad essere felici, diritto che nessuno ci può togliere.
Allora, quando io mi trovo in una situazione in cui posso camminare verso la felicità, sono in linea con il mio fine, ma quando non lo posso più fare perché la libertà mi viene sottratta, allora io ho perso l'opportunità di vivermi la mia vita perché vivo la vita dell'altro che non è la mia. Quindi, io sono morto. Questo è il peccato d'origine, altro che mangiare una mela!
Può anche la paura renderci infelici? La paura è un derivato della mancanza dell'esercizio di espressione. Quanto più la persona è esercitata nell'esprimersi, tanto più ha il coraggio e, quindi, le viene a mancare la paura che è generata da una sorta di meccanismo insano azionato da chi deve tenerla sotto controllo. Così si genera la paura perché è come se la persona, esprimendosi nella sua novità ed originalità, andasse contro il messaggio ufficiale. Allora si lascia prevalere il ruolo sulla realtà naturale e qui si verifica un ribaltamento valoriale. Il valore non è più gerarchicamente rispettato quando il ruolo prende il posto del valore. Solo se il ruolo è funzionale alla persona può essere un valore.
Ma come si fa a non farsi sopraffare dal ruolo quando ci sono tante necessità materiali a cui provvedere? Questa è una problematica di derivazione a seguito di una realtà economicamente regolata dalla legge del profitto per cui non c'è un'equa distribuzione dei beni.
Il secondo capitolo dell' "Evangelii Gaudium" tratta proprio della necessità di evitare, da parte dei politici, un atteggiamento che privilegi alcuni a danno di altri, cioè un'economia esclusivista.
L'economia, invece, deve essere inclusivista, cioè in grado di valorizzare le potenzialità delle persone che hanno il diritto di essere se stesse.
La nostra costituzione è scritta solo sulla carta. Come si fa a pagare le tasse prima ancora di avere un lavoro? Questa è una cosa che la logica non può consentire. Se ci sentiamo "costretti" a fare determinate cose, stiamo già nella ruota del macinino...
Il Papa dice che i politici non devono spingere le persone a non potersi esprimere per quello che sono per la ricchezza dell'umanità, perché altrimenti sono già carcerate.
Noi qui dobbiamo cercare di trovare un aggancio con tante altre persone per fare pressione e non dobbiamo demandare agli altri quello che c'è da fare e che possiamo fare. L'importante è capire bene che cosa.
Ma perché siamo così riluttanti ad essere felici? Perché il condizionamento esercitato da chi sta al potere non facilita il cammino verso la felicità in quanto chi riesce a farlo non ha più alcuna disponibilità ad entrare nel meccanismo della schiavitù.
Il bambino, nelle sue prime avventure, comincia a saltare i gradini, prima uno, poi, due, poi tre e prova un enorme soddisfacimento quando riesce a superare le difficoltà. Questo è naturale. Poi, chi esercita il potere toglie progressivamente al bambino l'esercizio dell'avventura: "Stai fermo! Ti fai male", "Non andare qui", "Non andare là"... Ma il bambino, intorno ai tre anni, già non vuole più essere preso per mano. Noi però abbiamo organizzato un ambiente che non è più vivibile per il bambino. Abbiamo creato, cioè, un modello che non è più naturale. Questo fa parte del condizionamento.
Ma la paura davanti ai grandi eventi tremendi della vita può renderci infelici? O siamo noi che non sappiamo gestire queste cose o non riusciamo ad accettarle?
Dobbiamo liberarci dalla mentalità di potere che è quella del controllo sugli eventi e sulle persone e metterci nell'atteggiamento... dell'ossigeno che accoglie due atomi di idrogeno o dell'acqua che ci riceve in sé senza chiederci prima una mutilazione. Se ci immergiamo nell'acqua, lo facciamo come siamo e l'acqua si sagoma sulla nostra realtà.
L'esistenza è un'accoglienza. Bisogna entrare in questa mentalità: fare tutto come se tutto dipendesse da noi e accettare i risultati come se nulla dipendesse da noi perché noi non abbiamo nemmeno il potere di aggiungere un capello alla nostra testa. Dobbiamo allora cercare di accogliere l'essere come si manifesta ai nostri occhi, non nella passività, ma nell'attività dell'essere.
C'è una frase del Vangelo molto nota: "Se ricevi uno schiaffo, porgi l'altra guancia". Questo al potere fa comodo per tenere le persone sottoposte. Ma il porgere l'altra guancia significa avere il coraggio di rischiare di prendere anche il secondo schiaffo pur di non cedere. Questo è un atteggiamento totalmente diverso!
Gesù, portato davanti a Caifa, ricevette un pugno in faccia per aver dato una risposta scomoda, Lui non se lo tenne, ma disse: "Se ho detto male dimostramelo, ma se ho detto bene, perché mi percuoti?". In effetti, Gesù ebbe il coraggio di rischiare di prendere il secondo pugno, senza paura.
Sulla croce, poi, disse: "Consummatum est" ("cum sum"), cioè: "Sono nella pienezza del mio essere, in armonia con gli altri e con il Padre".
Chi detiene il potere è felice? No, perché sono persone che non riescono ad avere la gestione di sé e per questo gestiscono gli altri.
Si può essere felici chiudendosi invece che aprendosi? Chi si chiude in un eremo, in genere porta con sé il mondo nel suo universo e dà una testimonianza.
Il Papa si è collegato con degli astronauti in missione nello spazio. Uno di loro ha detto che ci vorrebbero persone che sappiano leggere l'universo con una chiave diversa perché noi vediamo le cose sotto l'aspetto microscopico. Siamo miopi. Se una persona ha una buona lettura delle cose, attraverso un filo d'erba può vedere l'universo.