9° INCONTRO DEL 04-12-2017 nella parrocchia di Santa Maria della Libera

 

L'uomo è parola e la parola, in quanto tale, è prospettiva, è speranza, è costruttività. Però quando le parole restano flatus vocis (emissioni di voci), cioè soffi senza radicamento nella profondità della realtà personale, l'uomo cessa di essere parola.

Compito dell'uomo contemporaneo è quello di osmotizzare il suo esser parola con le parole che sono innovative della storia dell'umanità.

Naturalmente, queste non sono nozioni da conoscere in astratto, ma vanno intese sulla linea dell' "Evangelii Gaudium". Così come stanno scritte, sembrano facili e scontate, ma se poi devono essere applicate, comportano enormi difficoltà.

La prima domenica del mese non celebrerò più la Messa al Palombiscio perché sulla base di alcune informazioni mandate al Vescovo, questi è intervenuto per richiamarmi al rispetto delle "norme liturgiche" che significa non avere alcuna possibilità di elasticizzazione, in chiaro e netto contrasto con le indicazioni pontificie. Ci troviamo, cioè, di fronte ad un Papa che dice: "Aprite!" e ai vescovi e ai parroci che dicono: "Chiudete!".

In questa chiesa molti si domandano perché non sempre recito il Credo. Ma se uno crede, crede e non ha bisogno di recitare una formula, e se non crede, è inutile che la reciti.

Porto qualche altro esempio: se uno che si va a confessare viene rimproverato perché non sa l'atto di dolore, vuol dire che si dà importanza alla formula e non al dolore che è un'esperienza. Se uno è dispiaciuto, è dispiaciuto! E' come se il mal di testa fosse espresso con una formula letta. Anche il mal di testa è un'esperienza...

Pertanto, diventa difficile per una comunità che ancora non è ben formata perché, purtroppo, il Concilio Vaticano II è rimasto scritto sulle carte, ma non ha avuto alcuna applicabilità.

La sordità del meridione è cronica per cui non si portano avanti le cose straordinarie dette dal Concilio. Papa Francesco adesso sta cercando di applicarle bypassando la cerchia di coloro che glielo impediscono, ma ci vuole coraggio.

L'infallibilità del Papa fu l'unico dogma definito nel Concilio Vaticano I in un modo strano, in un contesto particolare, in una situazione storica (breccia di Porta Pia) in cui il Papa stava per perdere il potere temporale. L'infallibilità del Papa fu definita per terrorizzare le persone affinché non toccassero i territori che appartenevano allo Stato Pontificio.

Giovanni XXIII indisse il Concilio Vaticano II saltando a piè pari il primo che non era stato chiuso. Perché? Bisogna porsela questa domanda...

Giovanni XXIII non voleva avere a che fare con ciò che era stato fatto nel Concilio Vaticano I.

Infatti, aprì il varco ad un modello di Concilio non più con la minaccia di scomunica, ma come proposta orientativa della pastorale. In pratica, il Concilio Vaticano II non ha comminato scomuniche ad alcuno, ma ha cercato di chiarire che cos'è la Chiesa, che cos'è la Parola di Dio, qual è la finalità dell'umanità. Ha prodotto tre documenti importanti: la Lumen Gentium, la Dei Verbum e la Gaudium et spes.

La Lumen Gentium (lume dei popoli) è una riflessione sulla Chiesa; la Dei Verbum (Parola di Dio) è una riflessione sulla rivelazione; la Gaudium et spes (gioia e speranza) è l'applicazione nella storicità, dice come la Chiesa deve essere fermento nell'umanità.

Siccome l'astrattezza non esiste, ma esiste la concretezza, noi stiamo qui a vedere come Papa Francesco sta cercando di filtrare nella realtà concreta quello che è stato detto nel Concilio.

Al n. 128 dice che prima di iniziare un processo di evangelizzazione, il primo passo è l'incontro personale. Potrebbe sembrare una cosa scontata. Che cos'è l'incontro personale al quale fa riferimento il Papa? E' la liberalizzazione del dogmatismo della persona che significa privilegiare la persona nella sua dinamicità, nella sua unicità, nella sua acculturazione, in modo che se tu vuoi evangelizzare, prima di imporre una qualsiasi verità, devi cercare di sapere a quale livello di maturità l'altro è giunto e qual è la sua cultura. Se non c'è questo dialogo preliminare, ogni evangelizzazione finisce con l'essere un'imposizione.

Quindi, in queste parole c'è una rivalutazione di ciascuno di noi. Allora, l'evangelizzazione deve fare i conti con me, con te, con ciascuno di noi perché metodologicamente, è un dialogo permanente, personalizzato. Siccome, poi, l'evangelizzazione non è solamente indirizzata alle persone, ma anche alle culture, va da sé che una persona inserita in un contesto culturale deve essere evangelizzata non solo come singola, ma anche con il suo contesto culturale, quindi con quello scientifico, universitario, ecc..

Tutto il modello evangelico non è un'astrattezza che resta chiusa nei muri delle chiese perché Gesù con i muri delle chiese non ha mai voluto avere a che fare. E' stato uno che ha parlato sempre apertamente nelle piazze e ha voluto come destinataria ogni persona inserita nella propria cultura.

Allora, Papa Francesco dice che fare un dialogo personale vuol dire collocare l'evangelizzazione nel luogo, nella cultura, nella situazione in cui ogni persona si trova. Vedete che variabilità! Chi di noi sta allo stesso posto dell'altro? Dunque, l'evangelizzazione deve essere variabile, dinamica, non dogmatica. E' l'approccio ad una Persona che ci ama e che ci ha donato se stesso. Se non c'è la testimonianza reale, il discorso dell'evangelizzazione resta una notizia di... cronaca.

Naturalmente questo presuppone che la persona che trasferisce il contenuto della gioia perfetta (perché il Vangelo questo significa), deve sapere che è di grande trascendenza. Il Vangelo è una Persona che sta al di sopra di tutti per cui quando parliamo di evangelizzazione, non trasferiamo un messaggio puramente naturale, ma un messaggio che viene dall'Alto dove si compie il destino dell'umanità.

L'uomo tende alla felicità perfetta che comporta un autotrascendimento perché noi ci troviamo permanentemente a sperimentare nella nostra individualità che è permanentemente in metabolismo, la condizione del limite cronologico e spaziale. Pertanto, l'annuncio del Vangelo è una cosa che trascende chi lo trasmette e chi lo ascolta perché riguarda il destino dell'umanità tutta. Questo significa che la persona che vuole trasmettere il Vangelo, deve mettersi in un atteggiamento di profonda adorazione di quello che sta avvenendo.

Non so se avete avuto l'esperienza di leggere, a volte, un brano del Vangelo ed accorgervi che c'è qualcosa che va oltre quello che vi è scritto. Questo denota che c'è uno Spirito che anima chi legge, chi ascolta, chi parla...

Nessuno di noi è in grado di realizzare l'altro nell'ambito della naturalità individuale, ma solamente nella dimensione eccezionale della vita dell'uomo che è parola che implica trascendenza, che implica speranza, che implica apertura all'infinito, che implica felicità.

Quindi, chi annuncia il Vangelo non si deve fermare alle parole, ma  deve considerare la Parola che è il Verbo che si è incarnato, che è venuto a far parte della storia per non lasciare la storia nel viluppo della precarietà, ma per aprirla alla dimensione della trascendenza.

Se l'umanità resta chiusa nella storicità, è prigioniera del limite e, quindi, si trova ad essere deprivata del fine ultimo che è quello del raggiungimento della felicità. Invece, deve aprirsi utilizzando tutti i mezzi, non esclusi quelli scientifici, quelli delle teorie della comunicazione, della doxologia, ecc..

Tutto ciò che è scientifico va evangelizzato per renderlo strumento dell'evangelizzazione in quanto siccome questa ha per destinatario un soggetto prigioniero della sua cultura, deve poter avere come destinataria anche la cultura con tutte le caratteristiche scientifiche e non entrare nella mentalità di Pio IX che quando vedeva la locomotiva fare fumo, la definiva "Res diabolica" (cosa diabolica) e affermava che non era possibile conciliare l'aspetto scientifico con... il Papa come se questi avesse il compito sacrosanto di mantenere tutto fermo.

"Quieta non movere" (non agitare ciò che è calmo)... Questa mentalità che mira a tener tutto fermo non ha nulla a che vedere con il Vangelo che è l'annuncio della parola che di per sé è dinamica. Una parola statica non è parola.

Può darsi che detto e ridetto questo ci faccia capire come noi, in quanto parola rivelatrice del nostro mondo interno, siamo veramente noi, siamo veramente autentici. Se non abbiamo nella parola la rivelazione della nostra autenticità, è una parola vuota, è una copertura di noi, quindi, una prigionia, una costruzione di... sarcofago.

"Sarcofago"  da Sarko-Phagos vuol dire "mangiare la carne", cioè denota il posto dove venivano messi i morti per consumarsi. Invece, il Verbo si è fatto carne per dare a questa la vitalità, la resurrezione. Quindi, è l'opposto del sarcofago che consuma l'individualità. Cristo ci mette in una situazione esplosiva. Ecco perché l'evangelizzazione non è destinata solo all'altro, ma passa per colui che evangelizza.

In questo momento, non sono io che vi sto evangelizzando, ma lo Spirito, perché se non vi mettete in un morbido atteggiamento di accoglienza del movimento che lo Spirito compie dentro di voi, le parole perdono il loro significato. Pertanto, ciò che dico non può passare attraverso me senza fermarsi e modificarmi. Se non c'è questa disponibilità al cambiamento, la parola resta vuota, deprivata del suo senso. Noi abbiamo perso di vista il nostro esser parola, il nostro esser prospettiva, il nostro essere aperti alla dinamicità e ci siamo abbrutiti, invece, con la mentalità di Pio IX che rifuggiva dal nuovo.

Ma come si realizza il processo di evangelizzazione collettiva, sempre passando attraverso le singole persone? L'individualità è presupposto per la persona. Quando in questa individualità insorge una razionalità, ci troviamo di fronte ad una persona.

Il cavallo, il carciofo sono individui, ma non persone; noi siamo individui, ma anche persone perché ragioniamo e, quindi, siamo permanentemente in autotrascendimento. Il ragionamento è un processo razionale progressivo proprio della persona. L'animale è adattivo, cioè se cambia la situazione, modifica la risposta, ma non ha nessuna capacità astrattiva per progredire. L'uomo è arrivato a costruire anche le stazioni spaziali. L'animale, invece, fa il nido come lo ha sempre fatto.

La persona è unica ed irrepetibile. La personalità che si manifesta costituisce la relazione che è la base della comunità. La persona, se fosse strappata dalla comunità, cesserebbe di essere persona perché non avrebbe più relazioni. Nel momento in cui tu dai il tuo apporto alla costituzione della comunità, questa si caratterizza di te, di lei, di lui e di tutti i componenti. Quindi, la risultante della comunità deve acquisire gli stessi diritti alla modificazione della risposta.

Praticamente, la comunità deve essere avvantaggiata nella dinamica della creatività, dell'evangelizzazione che è individuale e personale. La persona costituisce la comunità; la comunità locale è dove si realizza la Chiesa. Quindi, questa non è una definizione, ma una comunità.

Quando S. Paolo scriveva ai Corinzi, ai Romani, ecc., si rivolgeva a piccole comunità di poche decine di persone.

Noi qui stiamo cercando di costituire una comunità nello scambio, soprattutto parlando su tematiche che non riguardano l'astrattezza delle dottrine dogmatiche, ma la concretezza nella quale ognuno si interpella: "Come devo fare per essere felice?". Perché questo è il senso della vita. E allora si va a finire sul piano della prassi che diventa teologia politica.

La cosa meravigliosa avviene quando una persona cerca di accompagnare dentro di sé quell'aspetto di naturalità che gli fa cogliere la sua dimensione di genuinità.

Al n. 129 dell' "Evangelii Gaudium" leggiamo: "Non si deve pensare che l'annuncio evangelico sia da trasmettere sempre con determinate formule stabilite".

Sarebbe come andare ogni giorno da un amico a ripetergli a memoria lo stesso discorso. Il linguaggio, invece, deve essere modulato secondo le emozioni perché la comunicazione è trasmissione emozionale di vissuto esperienziale. Io faccio un'esperienza a mano a mano che... la faccio! In questo momento posso arrabbiarmi con uno e dopo un po' giocarci perché le emozioni sono fluide. Le formule stabilite non servono, possono solo essere di riferimento per un approfondimento, ma non bisogna avere assolutamente confidenzialità con una teologia da... tavolino.

Che cos'è? E' quella di persone che perdono la vita a lambiccarsi il cervello su documenti antichi senza aver mai avuto uno scambio con persone esistenti che hanno una loro cultura e una loro dinamicità. Questa teologia non ha senso. Il teologo più importante che è Gesù Cristo, ha vissuto la Sua vita in mezzo alla gente e ha dato le risposte alle persone che Gli presentavano, in un modo o in un altro, delle problematiche.

Naturalmente, vi rendete conto che l'essere evangelizzatori comporta l'eliminazione dell'assenteismo che vuol dire aspettare che le cose procedano per conto loro stando a guardare come va a finire. L'evangelizzazione non può essere caratterizzata da questo. Non siamo spettatori, ma attori, cioè fattori perché siamo tutti incarnazione del Verbo.

Tutti noi esistiamo perché c'è Uno che ci dà l'esistenza e dal momento che la riceviamo, non la conserviamo noi. Se io prendo una penna o un qualsiasi oggetto, questo si mantiene in alto finché non lo lascio cadere. Così anche noi esistiamo perché siamo sorretti.

Nel momento in cui non lo fossimo più, per poter continuare ad esistere, dovremmo avere dentro di noi la gestione della nostra esistenza, ma nessuno di noi può aggiungere un istante ad essa. E' innegabile che esistiamo, ma è anche innegabile che la nostra esistenza non dipende da noi perché non siamo autoctoni. Se lo fossimo, la nostra esistenza sarebbe "absoluta", sciolta da qualsiasi vincolo.

Quindi, non potremmo esistere se non fossimo nel pensiero di Dio. Cartesio diceva: "Cogito, ergo sum" (penso, quindi sono), ma Karl Barth cambiò la frase in: "Cogitor, ergo sum" (sono pensato, quindi sono).

Invece, né la medicina né qualsiasi altro ci può dare l'esistenza che ci viene donata solo dall'Esistente. Gli dovremmo essere grati perché niente abbiamo pagato per esistere. L'esistenza è un dono.

Quando ci fa male la testa, è un fatto accidentale. L'essenziale è che abbiamo la testa. E se moriamo, vuol dire che siamo vivi.

"Esistere" viene da "ex sistere" (stare fuori). Il fatto di essere è il passaggio dalla potenza all'atto. Non si può dire di esistere perché mangiamo, camminiamo, respiriamo, ecc.. L'esistenza è a monte dell'agire. Io sono ed in quanto sono mangio, cammino, respiro, ecc.. La parte azionale, l'agire segue l'essere.

Nella sua specificità c'è un essere dell'esistenza e un essere dell'essenza. Quest'ultimo è una definizione astratta. Per esempio, se dico: "Il monte d'oro" esprimo un concetto che è nella mia testa, ma in realtà non esiste il monte fatto d'oro. Se ci fosse, il monte d'oro sarebbe un essere dell'esistere.

L'esistenza, quindi, è un passaggio in atto del concetto, è una realtà riferita ad una cosa concreta.

Dopo la morte cessa l'essere individuale e permane quello personale. La persona è una realtà che si colloca nell'individualità che ne è il supporto, ma non si identifica con essa. La persona è l'identità.

Io sono ed io che sono ho un corpo (individuo), ma io sono la personalità. Tra l'io e l'oggetto corporeo c'è una relazione di possesso.

Quindi, esiste un individuo ed esiste una relazione di possesso. Quando si muore, la relazione di possesso con l'individualità non c'è più. Resta la propria personalità, l'io che è la capacità di porsi in relazione e la relazione è intersoggettiva e non intercorporea.

Se stringo la mano di una persona, io stabilisco un rapporto con la mano, ma la relazione che ho con quella persona non ha nulla a che vedere con il rapporto. Se lascio la mano, finisce il rapporto, ma quella persona continua ad essere mia amica perché la relazione non si colloca nell'individualità, ma avviene tra soggetto e soggetto. Così la mamma è sempre tale indipendentemente da dove si trovi il figlio perché la relazione che ha con lui è permanente.

Quando si muore, si conserva la propria capacità relazionale con l'Essere Assoluto e con tutti quelli che sono in relazione con Lui. Si entra, cioè, in una relazione comunitaria che è la realizzazione completa della propria personalità.

Non si deve, quindi, parlare di salvezza, ma di realizzazione. La salvezza presuppone una situazione di danno: si salva uno che sta perdendosi. Ma noi stiamo dicendo che la realizzazione dell'uomo è un autotrascendimento perché se si lascia avviluppare nella propria individualità, costruisce rapporti e non relazioni. I rapporti sono imbrigliati nel tempo e nello spazio. Le relazioni, invece, escono dal tempo e dallo spazio.

La grandezza della persona è che ha la parola che è autotrascendimento. Questo va collocato nella propria dimensione culturale  ed ognuno deve fare uno sforzo per entrare a contatto con il sé profondo per vedere se la propria esistenza è sulla linea della realizzazione progressiva, dinamica e, quindi, deve avere anche un approccio con il Vangelo che è l'incontro con una Persona che ci dinamicizza ed è l'Essere Assoluto. Quindi, si ha dinanzi una prospettiva senza fine. L'incontro con Gesù Cristo è l'apertura alla massima speranza.

Anche per questo dovremmo essere grati, per aver scoperto di essere destinatari di una Parola che non può essere bloccante per il flusso della parola, ma incrementante.

Ciò significa che una volta che la Parola mi ha raggiunto, si può impregnare della mia esperienza e trasmessa ad un altro che la riceve, può essere impregnata della sua esperienza e  trasferita ad un altro e un altro ancora per cui si verifica una dinamicità del Vangelo che cammina di pari passo con l'umanità. Così, a mano a mano che il numero delle persone aumenta, aumenta l'esperienza e il messaggio può crescere al punto tale da avere un'evangelizzazione che coincide con l'umanità che cammina verso l'uomo transumano, l'uomo del futuro che non è quello che verrà, ma è quello che io predispongo per renderlo attivo.

Quindi, la venuta del Signore non avverrà alla fine del mondo, ma come Lui è venuto a noi, noi andiamo a Lui.

Noi antropomorfizziamo Dio, ma la Sua realtà è tutt'altra dalla nostra. Noi non riusciamo neanche ad immaginare cosa siano certe misure infinitesimali di miliardi di Angstrom o cento anni luce, cioè la distanza che percorre un raggio di luce che viaggia a circa 300.000 Km al secondo per cento anni... Pensate che la luce del sole impiega 8 minuti per arrivare a noi. Quando vediamo il sole al tramonto, in effetti, è già tramontato e noi continuiamo a vederlo per 8 minuti. Idem quando sorge: il sole è già là e noi non lo vediamo.

Ma se una persona non sta bene con se stessa, come può evangelizzare, come può essere capita?

Nel confronto comunitario, se una persona ha un minimo di disponibilità, può mettere in atto la correzione fraterna. Quando, cioè, ci si confronta in modo onesto e sincero, l'altro ti può evidenziare alcuni aspetti che tu puoi valutare. Anche la relazione con una sola persona passa per quella comunitaria perché noi non ci realizziamo in quanto singoli, ma in quanto inseriti nell'ecclesia. Non ti puoi realizzare come persona essendo solo individuo. La relazione comporta inevitabilmente che tu stabilisca una o più relazioni. Più ne stabilisci, meglio è. Se poi ci riesci in modo autentico, la tua relazione nell'autenticità diventa carismatica.

Il carisma è un dono che non ti è dato perché resti affossato in te, ma perché porti un vantaggio a tutta la collettività. Alla fine torna anche a tuo vantaggio se riesci ad essere oblativo, donativo del tuo carisma perché laddove tu riesci a trasferirlo, costruisci intorno a te una rete di persone che sono in grado di coglierti come dono prezioso, e anche l'altro, nella sua realtà, diventa dono prezioso per te.

Questo produce un'escalation migliorativa a mano a mano che le persone riescono a comunicare.

Ma il termine "evangelizzare" non può essere frainteso nel senso che può sembrare l'azione di chi si considera portatore di verità da imporre all'altro?

Il Papa usa il termine "evangelizzazione", ma lo svuota delle caratteristiche che finora ha avuto. Ti dice di metterti in relazione per cogliere in quale dimensione sta l'altro al fine di porvi entrambi in una condizione di crescita. Per questo cita sia S. Francesco che il buddista togliendo all'evangelizzazione il concetto di essere un fatto religioso.

Purtroppo è costretto ad usare il termine "esortazione apostolica" (che non significa più niente), altrimenti non potrebbe neanche parlare! Però poi non scrive niente di apostolico, ma esorta, per esempio, gli scienziati a risolvere il problema della terra che non è più vivibile... Si occupa di considerare come sopravvivere...

Il contenuto, quindi, non ha nulla a che vedere con le encicliche di alcuni decenni fa.