9° INCONTRO del 23-05-2018 al "Giardino del Poeta"

Alle volte si richiedono degli attimi di silenzio per poterci incontrare, perché catapultati come siamo nel turbinio dell’oceano del mondo senza prendere un attimo di respiro, di aria, come alimentazione della profondità del nostro essere, può essere giovevole. Questa sera possiamo fare un "tentativo" e uso questo termine perché non ci sono ricette efficaci da applicare.

Noi stiamo facendo un commento alla "Laudato si'"che è un glorificare l’Autore del creato perché ciascuno di noi si rende conto di non essere lui il creatore di ciò che esiste, né di se stesso in quanto nessuno di noi è in grado di essere autoctono. Tutti siamo contrassegnati dal cordone ombelicale che è stato reciso ed ha lasciato una traccia nell'ombelico. Questo ci fa considerare che noi abbiamo attinto alla vita, anche se non ne siamo monopolizzatori.

Premesso che viene quasi di conseguenza riconoscere che non siamo all’altezza di dare origine a tutto ciò che esiste, premesso che attingiamo e non siamo monopolizzatori, l’atto di consapevolezza che ci spetta di diritto non ci può essere sottratto da nessuno.

Questo è l’elemento portante che può produrre una rivoluzione profonda in un  momento particolare in cui l’umanità avverte che c’è un cambiamento in tutti i campi e che nessuno più ha il potere di orientare. Questa dimensione ci deve far pensare molto. Non ci possiamo defilare dalla responsabilità della consapevolizzazione. Il creato non ci appartiene, noi siamo immersi in questo oceano e la responsabilità è solo nostra. Non possiamo orientare e modificare le sorti della storia, neanche i capi di stato imperanti lo possono fare.  

Ciascuno di noi è in grado di orientare la propria consapevolezza, non la propria storia. La consapevolezza è nostra, la nostra storia no, perché ci sballottolano come vogliono, ma questa libertà che abbiamo nella consapevolezza, nessuno ha il diritto di togliercela, nessuno lo può fare. Abbiamo il diritto di conservarla e, quindi, l’obbligo di costituirla.

La consapevolezza è fondamento della libertà. Senza l’una non si ha l’altra.

Questa è la sintesi di ciò che sta scritto al n. 205 della "Laudato si'" di cui stasera riprendiamo la lettura. Vediamo come prendere in considerazione gli animali e le piante per la salvaguardia della differenziazione nell'ecologia perché se noi non abbiamo un'educazione ecologica, l’habitat umano finisce col non essere più vivibile.

Recentemente abbiamo visto un documentario "Una scomoda verità" di Al Gore, che ci ha messi profondamente in crisi evidenziando come, a causa dello scioglimento dei ghiacciai,  sono sorti dei fiumi che prima non c’erano, che si riversano, poi, nelle acque degli oceani che per la legge dei vasi comunicanti  si alzano, provocando l'esodo delle molte persone che vivono lungo le coste del mare. Questo fenomeno è già in atto, non è da venire!  

La rigenerazione, che è l’elemento portante per evitare l’orientamento mortale dell’habitat delle persone, dipende dalla nostra consapevolizzazione di cui siamo responsabili solo noi.

Questa responsabilità non è un peso,  ma è una partecipazione alla reale concretizzazione, cioè all'entrare  in rapporto con la creazione, concreando. Io posso essere chiamato a concreare una realtà che è finalizzata alla vivibilità mia e degli altri.

Questa è un elevazione della propria vita che non è solo una vita subita (ho ricevuto la vita), ma è una vita ricevuta e accolta per essere potenziata. Quindi, in questo tratto, c’è la risposta del soggetto che responsabilmente, avendo ricevuto il dono, lo mette in una condizione di fruizione per sé e per gli altri. Ci può essere il difetto della chiusura autoreferenziale che avviene quando il soggetto mette al centro se stesso nella propria individualità prescindendo dalla fruizione della vita, in quanto bene comune. La vita non è nostra perché ne siamo tutti fruitori. L’individualizzazione  è una sorta di autoreferenzialità che esclude l’autotrascendimento. L’esclusione dell’autotrascendimento dalla propria vita, del superamento del proprio mondo, è coincidente con la propria morte.  Noi tutti attingiamo dalla vita, perché nessuno è in grado di crearla. L’ombelico è segno che noi riceviamo la vita. Se la riceviamo significa che non siamo autoctoni e se non lo siamo, non siamo capaci di darci la vita.

Quello di cui siamo capaci è la responsabilità che non può farci disconoscere che apparteniamo ad una vita comune che ha bisogno di determinate condizioni per poter essere vissuta. Le condizioni non possono dipendere dal singolo, ma sono aperte alla comunità. Pertanto, se il soggetto non si autotrascende, ma assume un comportamento di autoreferenzialità, si riferisce solo a se stesso. Benché sembra che possa essere in questo modo salvaguardato,  invece origina la morte, perché la vita nel solipsismo non è possibile. Noi viviamo in quanto siamo in comunità. Se eliminiamo il nostro cordone ombelicale, non apparteniamo più all’umanità né alla vita. Questo, per indicare come la nostra dimensione vitale non può essere isolata.

Se ci  immaginiamo  soli nell’universo, ci assale uno stato di angoscia e di smarrimento, perché le due tensioni che costituiscono la nostra vita sono una all'appartenenza e l’altra alla libertà. Vogliamo essere  liberi nella nostra individualità, ma allo stesso  tempo, vogliamo appartenere. Ma  a che cosa? All’ambiente, alla comunità, al territorio, alla cultura… 

Allora questi due orientamenti di appartenenza e libertà sono inversamente proporzionali. Maggiore  è l’incidenza di uno, minore è l’incidenza dell’altro e viceversa. La vita è l’equilibrio tra questi due orientamenti. Per esempio,  se sapessimo di addormentarci sul letto di casa nostra e al risveglio ci trovassimo in mezzo a una foresta, cosa avverrebbe dentro di noi? Il minimo sarebbe un attacco di panico, il massimo è che si potrebbe anche impazzire se non si riuscisse a capire come si è pervenuti in quella situazione, perché il problema nasce quando c’è un distacco dall’esperienza precedente a quella successiva senza nessun collegamento. Questo riguarda l’appartenenza. Se non abbiamo la possibilità di collegare l’appartenenza al vissuto antecedente, ci smarriamo totalmente.

Noi abbiamo sempre la consapevolezza di essere noi anche quando dormiamo. Difatti mentre dormiamo e sogniamo, di qualsiasi cosa facciamo nel sogno siamo sempre noi i protagonisti, al punto tale che anche dormendo su un lettino stretto, pur girandoci più volte, raramente ci troviamo a terra, perché conserviamo la memoria di stare sul lettino, cosi come la mamma, pur addormentandosi  accanto al figlio, non si gira rischiando di schiacciarlo, perché ha memorizzato che c’è il bimbo vicino a lei.

Il trauma della nascita come si supera?   Il trauma della nascita è il massimo trauma e viene superato attraverso il "maternage", cioè quando la mamma fa giocare il bimbo con il capezzolo che si predispone a dargli il latte e che è sostitutivo del cordone ombelicale. Molti studi psicoanalitici sulla vita prenatale dimostrano come il bambino abbia un dialogo permanente con la madre, non a parole, ma ormonale, che poi diventa dialogo sensoriale, affettivo, fino ad essere,  poi, sentimentale che è quello che più consapevolmente mette a rischio il soggetto  perché l’innamoramento lo capovolge .

La situazione di invivibilità dell’habitat cosa comporta? Un cambiamento di mentalità per far  sì che la situazione non si deteriori così tanto da essere poi irreversibile. Questo sempre con la consapevolezza aperta non come singolo, ma come collettività.

Il cambiamento di stile di vita incide sulla politica che non è quella del governo di un Paese, perché oggi incidono più i social network che i governi di Stato. Questo significa che il cambiamento non può avvenire sulla base di una legge, perché tutte le leggi se non vengono accolte, condivise e motivatamente assunte sul piano operativo, sono leggi che restano scritte sulla carta.

Quindi, il cambiamento  avviene se la persona prende consapevolezza e produce l’autotrascendimento che si apre a una comunità,  a una collettività, che può avere un'incidenza sulla politica non partitica, ma sulla politica comportamentale della famiglia umana.

Questa appartenenza alla realtà della vita è una dimensione di appartenenza solidale. La solidarietà nella famiglia umana è fondata sulla vita che è il minimo comune denominatore. Quindi, nessuno di noi è una realtà isolata.

Thomas Mann ha scritto un libro "Nessun uomo è un'isola". Se l’uomo vuole modificare il suo habitat, lo può fare solo se entra in relazione comunitaria e si sente solidale con il resto della famiglia umana. Se non c’è questo atteggiamento motivazionale che giustifica il cambiamento di comportamento,  dovremmo avere il cambiamento solo in forza delle leggi, che se non hanno questa finalità, non servono se non ci sono le persone disponibili ad attuare il cambiamento. 

Difatti, nei paesi dove vige la pena di morte che è il massimo della punizione, si dovrebbe avere l’esclusione dei reati, invece questi aumentano.

La nostra esistenza è molto complessa e non la si può vivere in modo superficiale perché richiede una consapevolezza complessa. Se vogliamo  cambiare si deve cambiare la condotta. Che differenza c’è tra condotta, comportamento e atteggiamento? La condotta è il comportamento stabilizzato.  Allora, se io voglio rendere l’habitat antropologico funzionale alla persona, devo entrare nella "condotta" che l’acqua è un bene prezioso e non va sprecato, che va non solo economizzato, ma va rispettato in quanto fa parte dell'habitat non solo per me, ma anche per gli altri.

L’habitat umano, vegetale e minerale va difeso e conservato perché  progressivamente si stanno estinguendo diverse specie di animali e piante.  Noi siamo  solidarmente collegati. Anche l’ortica serve! Purtroppo siamo abituati a pensare all’habitat in funzione antropocentrica, però ci sono delle realtà che sono reciprocamente funzionali e non possiamo distruggerle perché poi ci ritroviamo a doverle riprodurre artificialmente, come nel caso delle api , che sono in estinzione a causa dei pesticidi.

Questo fa parte del rispetto dell’acqua ovunque si trovi, non solo quella del rubinetto con un comportamento episodico e isolato. La condotta è invece, il comportamento stabilizzato. L’atteggiamento è la predisposizione al comportamento.  La motivazione è la spinta ad avere un comportamento coerente con la propria realtà e, quindi, diventa un'esperienza di libertà, non un vincolo obbligatorio dal di fuori per cui la persona, poi, si sente sotto un giogo, ma quando la persona si rende conto che il proprio benessere scaturisce da un miglioramento collettivo e capisce che non basta vivere in una casa bella e accogliente  se non  ne può fruire perché è difficile stare nel bene se questo non è  contestualizzato, se all’esterno ci sono condizioni indigenti e fatiscenti che creano  frustrazioni da cui scaturisce l’aggressività che sfocia nella violenza mettendo in crisi una società.  Quando il comportamento diventa aggressivo e si ripete, diventa condotta aggressiva.

La modificazione del singolo non arreca nessuna modificazione collettiva, perché ci deve essere la collaborazione delle istituzioni, tipo la scuola, la chiesa e, in particolare  la famiglia, perché  in primis è all’interno della famiglia che si assumono dei comportamenti di rispetto verso se stessi e degli altri, ma se  al suo interno non c’è un ambiente sereno, diventa difficile relazionarsi al di fuori in modo civile per costruire una società calma, serena e tranquilla.

Vedete allora come  la responsabilità che sta alla base, diventa un punto in cui il singolo si dovrebbe chiedere: "Posso fare qualcosa per modificare il comportamento e, quindi, la condotta, al fine di avere una modificazione dell’habitat umano, considerato che io non posso vivere nella mia solitudine?". L’articolo n. 03 della "Laudato si'" pone una domanda:  "Che cos’è il consumismo?”.  Il consumismo è l’esercizio dei singoli all’interno di una società che senza averne il bisogno è indotto a consumare. Questo produce una forma di alienazione da cui scaturisce la strumentalizzazione, cioè il soggetto consuma non perché ha necessità, ma lo fa tanto per fare. Se osserviamo le persone in strada ci accorgiamo che sempre più frequentemente parlano da sole al cellulare e lo fanno anche mentre guidano l’auto pur essendo vietato, ma tra di loro non parlano più. Il soggetto non si rende conto che ha un comportamento che diventa condotta,  per cui nega a tutte le persone che gli stanno vicino la sua comunicazione, perché ognuno sta per fatti suoi...

Al n. 204 leggiamo che l’isolamento della persona acutizza l’avidità. Per cui la domanda  che sorge è : "Perché succede il consumismo?".  Perché la persona che non comunica si sente svuotata. Pertanto deve riempirsi e tenta di farlo consumando. Più è vuota, più consuma; più consuma e più è vuota. Chi mangia di più? Chi ha lo stomaco vuoto, perché se ci sente sazi, non si mangia. Una persona innamorata che fa? Non mangia, non perché le si chiude lo stomaco, ma perché è sazia e soddisfatta. Maggiore è la certezza della permanenza in essere, minore è il bisogno procreativo; maggiore è la consistenza procreativa (perché se è innamorata è come se avesse già  trovato la soluzione alla rigenerazione), minore è il bisogno conservativo. Cioè: maggiore è la pericolosità della specie, maggiore è il bisogno procreativo.  Sul piano botanico la parietaria (l’erba che cresce spontaneamente sui muri) produce molti semi perché maggiore è la difficoltà di permanere, maggiore è l’istinto di conservazione. I due poli  sono inversamente proporzionali.

Quando una persona s’innamora, è come se avesse trovato la conclusione della sua realizzazione procreativa e quindi non si conserva. La persona che non ha l’esercizio conservativo, normalmente diventa grasso. L’avidità e, quindi, il consumismo, è in rapporto strettissimo con la persona e l’habitat. Al n. 205 si legge che è possibile la rigenerazione che comporta la conversione. Conversione non di tipo amartiocentrico, cioè che al centro della nostra vita c’è il peccato, ma bisogna fare uno spostamento dall’amartiocentrismo all’antropocentrismo dove l’uomo è messo al centro del creato perché condivida con Dio la partecipazione creativa.

Al n. 207 c’è la Carta della Terra che corrisponde a un concetto ben preciso: "No all’autodistruzione" perché ciò che produciamo è l’autodistruzione della creazione, solo che nessuno ci pensa perché crede che la colpa non sia sua ma di un altro, applicando in questo modo la legge della proiezione, come quando il bambino sbatte con la testa vicino ad uno ostacolo facendosi male e, piangendo, scarica la colpa sull’oggetto sottraendosi all’evidenza. E’ difficile che la persona si appropri della sua responsabilità, chiedendosi come fare per stare meglio, senza passare sul negativo dell’altro perché possa entrare in un rapporto comunicativo costruttivo e non oppositivo. Si può comunicare anche per litigare, ma la comunicazione complementare, cioè compositiva, è quella costruttiva che può diventare condotta. La comunicazione può essere oppositiva, impositiva e compositiva.

Questa è la Carta della Terra. E' l’inizio di una vita nuova.  Ma è possibile? La possibilità della vita nuova è legata strettamente al concetto di vita,  perché la vita, in quanto tale, è movimento è permanentemente lasciare il vecchio per prendere il nuovo. La novità e, quindi, la rigenerazione, sono elementi portanti dell’esistenza. Com’è vero che l’uomo sta autodistruggendosi, è altrettanto vero che l’uomo può anche cambiare orientamento.

Questo cambiamento di orientamento può dipendere dai singoli a seconda dove si trovano e possono far scricchiolare un meccanismo come,  per esempio, quello dei... seminari, dove non ci sono condizioni umane a formare educatori per l’uomo. 

Come si fa a riconoscere l’educatore?  L’educatore può essere ogni persona, perché la responsabilizzazione spetta a ciascuno di noi e una persona responsabile è educatrice automaticamente, perché propone all’altro uno scambio dal quale ognuno,  nella ricchezza della propria identità, ha un'impronta divina che se riesce ad esprimere in autenticità, non può che offrire all’altro un dono divino.

Il professore è il pro-fateor, quello che parla avanti della propria esperienza. Però, normalmente, il professore nelle istituzioni è rinnegato come persona perché deve sviluppare il programma. Invece, il professore è  scuola peripatetica, è il maestro di vita. Ma noi ci siamo talmente burocratizzati da deformare questa figura. Gesù non era andato a scuola però era Maestro di Vita.

I bambini che vivono in un ambito familiare nutriti dell’affetto materno, hanno sempre due o tre anni di anticipo nella crescita rispetto ai bambini che vivono negli orfanatrofi , perché la mamma è maestra in quanto si esprime con dolcezza, con tenerezza, con amorevolezza, con dedizione...

Al n. 209 il concetto fondamentale è quello della conoscenza che diventa azione. La conoscenza, per essere vera, deve potersi trasformare in azione, perché se resta astratta senza nessun riferimento alla modifica dell’habitat, resta una conoscenza inutile. Allora la funzionalizzazione della conoscenza è legata alla prassi, tenuto presente che la gioia non scaturisce dal possesso delle cose, ma dalla possibilità di avere una nuova relazione che sia educativa. Cioè le persone possono fruire della gioia quando nella relazione educativa, che significa che io nel manifestarmi uso il linguaggio ontogenetico che è costitutivo della mia realtà, mentre mi costituisco, mi offro perché comunico e l’altro, comunicando con me, si realizza nella sua onticità  per cui si stabilisce una relazione gioiosa in quanto  realizzativa.

La relazione diventa realizzativa  perché è educativa. Ciò significa che io mi traggo fuori  dal nascondimento in cui, purtroppo, la struttura sociale mi comprime. Se io riesco a smantellare quest’oppressione che può essere sia familiare, sia amicale per cui posso essere costretto nel ruolo e non ho l’opportunità di educarmi, non  posso comunicare con autenticità e se non comunico con autenticità, non mi realizzo e se non mi realizzo, non sono gioioso.

Al n. 210 troviamo il mistero dell'educazione ecologica.  Se io voglio educarmi profondamente, non posso escludere dal mio processo educativo il creato che ha le  manifestazioni caratteristiche dello stesso Creatore. Lui ha creato me  così come l’habitat. Se io voglio entrare in relazione con  Lui non posso interrompere la relazione con le creature, perché Lui ha lasciato l’impronta del suo dito in me e negli altri.

Quando Gesù dice di guardare i gigli dei campi e gli uccelli dell’aria, dovremmo cogliere la straordinarietà aerodinamica che attivano gli uccelli per un volo in verticale! Noi, nonostante le tecnologie avanzate di cui disponiamo, non siamo ancora riusciti a riprodurre niente di simile con la stessa perfezione...

Al n. 211 si afferma che ogni cambiamento passa per il cambiamento personale. 

Al  n. 212 si ribadisce il concetto che il piccolo cambiamento ha una risonanza senza limiti. C'è il detto: "Se ogni cinese spazza davanti la sua casa, tutta la Cina è pulita". Ciò avviene se nel cambiamento c’è un sincronismo perfetto in sintonia con la consapevolezza ottimistica, per cui il soggetto, anche se fallisce diverse volte, non è detto che la volta successiva sia altrettanto fallimentare, cioè ogni nostra azione negativa può essere successivamente diversa, perché gli attimi che si susseguono sono aperti sempre alla pluridirezionalità. Il tempo è lanciato nella linearità. Ogni tempo, ogni attimo, però, è possibile che sia aperto alla pluridirezionalità. Io posso aver fatto tantissimi errori, ma non è detto che  quello successivo sia uguale a quello precedente, perché noi siamo muniti di libertà e possiamo cambiare ogni volta direzione.

Per esempio, se leggiamo una stessa pagina del Vangelo a distanza di qualche anno ci accorgiamo di capire aspetti che prima ci sfuggivano. Proprio stamattina mi è capitato di pensare alla resurrezione  nella sua profonda significanza: un ribaltamento della roccia che normalmente non si può fare perché esiste una legge che dice che con i morti non ci deve essere contatto, ma la resurrezione è il ribaltamento della pietra, è la caduta dei legacci, è la conservazione dell’impronta sul sudario che viene ben piegato e conservato. Il che significa che la resurrezione è la scoperta della propria identità, è l’eliminazione dei legami ed è la capacità di trasgredire le norme.

Il ribaltamento della pietra è una cosa proibita  tanto che le donne, quando vanno al sepolcro, si chiedono chi l'avrebbe ribaltata perché nessuno lo poteva fare.

Una persona, solamente quando riesce a trovare la propria identità, celebra la sua resurrezione.

Vi ho dato la chiave che può aprirvi ad essere una Pasqua permanente...

Al n. 213 si parla delle istituzioni che sono coinvolte nel cambiamento radicale della società per rendere la terra vivibile: la scuola, la chiesa e, soprattutto, la famiglia che negli ultimi tempi si è discretamente sgretolata da quando è nato l’ultimo figlio che si chiama "televisione" che impedisce la comunicazione.

Al  n. 214 si individuano le istituzioni competenti: quelle educative (cioè tutte le persone in tutti gli ambiti). Questo significa esaltazione della sacerdotalità dei fedeli. L’uomo, in quanto tale, è un parlante anche se tace, perché il tacere esprime il non voler dire e, qualche volta, dice più il silenzio che il parlare.  Soprattutto se c’è un bisticcio in atto, il modo migliore di comportarsi  è quello di tacere.

Al n. 215  viene trattato il rispetto per l’aspetto estetico. Non si può salvaguardare solo la parte nucleare, ma va salvaguardato anche il contesto di beltà della natura che non può essere solo cementizzata. La cementificazione della nostra terra non è un abbellimento se non c’è un'armonizzazione tra gli aspetti architettonici, ingegneristici e naturali, ma questo, purtroppo, in molte città si è perso, privandole di un bene prezioso.

Al  n. 218  c'è la conversione non solo dell’habitat, ma anche la conversione del cuore perché se il nostro cuore non entra in empatia con il miglioramento, la modificazione del creato è una nullità, è un aridume  che non ci dà la consolazione di vedere la bellezza che si manifesta nella naturalità.  

Al n. 219 si sottolinea come le reti sociali devono entrare in collaborazione per facilitare la modificazione del degrado della terra perché se entrano in collaborazione sincrona è più facile il recupero della vivibilità della terra. Se, invece, ognuno agisce diacronicamente, per conto suo, la modificazione diventa sempre più difficile.

Al  n. 220 c'è il motivo di fondo per avere il rispetto estetico della casa comune: il creato è dato come dono da un Padre e quindi noi siamo figli che custodiamo la casa del Padre che l’ha data a noi in dono. Da parte nostra ci vuole il per-dono, cioè il trovare il modo per ampliare il dono che il Padre fa, potenziandolo.

La prossima volta che c’incontriamo dovremmo arrivare alla conclusione che corrisponde  alla pace gioiosa di chi finalmente entra in collaborazione con il Creatore nella concretizzazione di una vita vissuta pienamente.